Riattribuire il sesso con l’operazione chirurgica comporta la rettifica del nome. C’è una doppia strada medico-psicologica e giudiziaria. È stato sufficiente che Luca Zaia ribadisse con pragmatismo etico che il cambio di sesso nel nostro Paese è “un atto di civiltà previsto dalle norme e il compito della politica è garantire le libertà anziché limitarle”, annunciando che il policlinico universitario di Padova diventa centro regionale cui rivolgersi per ottenere questo “Livello essenziale di assistenza”, perché si scatenasse la solita polemica ideologica. Casa Pound ha tappezzato di manifesti il policlinico e la biblioteca di Treviso contro il governatore percepito come un liberal. Subito è scattata la solidarietà trasversale a Zaia, anche se Matteo Salvini ha puntualizzato che “abbiamo altre priorità” e che la famiglia è fondata da uomo e donna.
I CASI
Ogni anno in Italia sono una settantina le persone che cambiano sesso. È un percorso psicologico e clinico complesso. Si parla di interventi demolitivi e poi ricostruttivi difficili, col rischio per le equipe mediche di cause legali qualora il risultato della nuova identità sessuale non venga accettato dal paziente. Un tempo questi tipi di interventi erano prerogativa di strutture sanitarie di altri Paesi. Ma da tre decenni anche nella Penisola ci sono strutture capaci di venire incontro alle legittime aspettative di individui che convivono con grande sofferenza la propria dimensione più intima. Tra l’altro, e la circostanza va sottolineata perché periodicamente si scatenano contrapposizioni stucchevoli, nel 1993 il Parlamento ha introdotto norme che garantiscono al cittadino il cambio di sesso come servizio erogato dal Servizio sanitario nazionale. Undici anni prima, con la 164 del 1982, le Camere avevano licenziato la prima legge che consentiva di cambiare sesso. Ma all’epoca i transgender non potevano mutare identità e nome ed era come fossero ingabbiati in un corpo biologico. Anche perché la vecchia norma richiedeva l’obbligatorietà dell’operazione chirurgica.
CENTRODESTRA
Nel Veneto il centro è attivo dal 2009 come ambulatorio di andrologia e dal 2017 trovava spazio ad Abano. Dopo l’annuncio del trasferimento della sede a Padova per una sua razionalizzazione visto che sono coinvolti una trentina di specialisti, è scoppiata la bagarre. Lo stesso Zaia si è stupito della piega degli eventi ed a chi gli faceva notare che è un amministratore di centrodestra, quasi a significare che questo tema è di sinistra, ha replicato sereno: “Vedete, io sono un amministratore di tutti i veneti, al di là del censo, dell’orientamento sessuale, della fede religiosa o del colore della pelle. Chi non la pensa così per me non è degno di fare l’amministratore e si trova al posto sbagliato”. Aggiungendo di non essere di sinistra, ma di garantire i diritti a tutti in ossequio alla carta costituzionale e alla legge. Come a dire, nel 2023 sarebbe ora di smetterla di ragionare per stereotipi, prima di aggiungere che sarebbe davvero deludente se la prospettiva fosse di tipo politico anziché quella della soluzione dei problemi della gente. Anche perché in Veneto i casi non si contano sulle dita di due mani all’anno e, come spiega il prof. Andrea Garolla, dal 2009 sono state seguite duecento persone.