Politica

ZEBRE E CAVALLI

Dalla piazza al reddito di cittadinanza. Si annuncia una coabitazione difficile

di Fulvio Abbate -


Giuseppe Conte ha preso possesso (sia pure, al momento, solo idealmente) della “casa”, forse un semplice appartamento ancora da ammobiliare, che “la sinistra”, presente o ipotetica, pensava di avere approntato per sé. Come accade in certe occupazioni, più o meno abusive, quando quegli altri, convinti di avere un regolare contratto d’affitto storicamente comprovato, la bandiera rossa o fucsia o amaranto sottobraccio, destinata al balcone dello stabile, si sono invece trovati lì, insediato, proprio l’ex presidente del Consiglio, ora leader di un Movimento 5 Stelle in progress. Questi, al momento di mostrare le carte, ha fatto notare agli altri, giunti invece a mani vuote, di poter vantare come titolo il varo del reddito di cittadinanza. Un provvedimento che, sia detto, ha in sé valore di egualitarismo, post-populista, moneta immediata che guarda e in parte soddisfa i bisogni primari, se non delle classi subalterne tutte, come si sarebbe detto nel tempo lessicalmente ideologico, di un discreto segmento di popolazione, e poco importa se segnatamente nel Sud del Paese. Un’immagine plastica sul tema? I ricevitori di cassa dei supermercati mostrano ora un tasto che corrisponde alla sua attuazione: “REDD. CITT”, testuale.

Tra le parti in causa si pone dunque il tema della coabitazione: ragionare sulla distribuzione dei vani nel medesimo interno o semmai scegliere lotti distinti, comunicanti, così da non allontanarsi gli uni dagli altri e, volendo, comunicare a gesti dalle finestre.

Il tema della coabitazione in nome di intenti comuni, rimanda all’incontro fra dissimili, da un lato soggetti che si richiamano a un marchio politico storico, dall’altra figure ulteriori, come è il caso di Conte. L’appartenente standard alla sinistra, assodata la bontà del reddito di cittadinanza, fa comunque fatica a riconoscere l’“homo novus”, D’Artagnan giunto nell’agone della politica grazie al suo monsieur de Tréville-Alpa, come “sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi”, per citare un canto memoriale proprio della sinistra italiana dedicata ai morti di Reggio Emilia uccisi dalla polizia del governo Tambroni nel luglio 1960. L’avvocato Conte, ai loro occhi, giunge semmai dal mondo devozionale di Padre Pio, come già l’attore Carlo Campanini, spalla di Walter Chiari nella parodia dei fratelli De Rege, “… vieni avanti, cretino”.

Immaginare Conte accanto agli altri è un po’ come figurarsi cavalli e zebre nel medesimo insieme definito “progressista”.

Le stagioni della politica a venire dimostreranno se il connubio appare possibile, se addirittura un pezzo di promontorio del Pd si sgancerà dall’incerta terra ferma post-lettiana per risiedere accanto all’altro. Occorrerà tempo, e forse congressi e primarie, magari neppure assise e gazebi basteranno, o piuttosto le scissioni avverranno naturalmente, resterà però su tutto il dilemma della coabitazione, della coesistenza, dei distinti immaginari.

Intravedo però già Conte che intona “Bella ciao”, collante canoro ed emozionale unico; più problematico figurarsi le forme che la “cosa” potrà assumere in epoca post ideologica, d’immaginari sempre più mutante. Alle spalle, altrettanto pesa l’eredità, non meno ingombrante, della narrazione pentastellata. Zebre e cavalli in ogni caso dovranno immaginarsi nel frattempo opposizione. Incredibilmente, a dispetto di chi lo riteneva inadatto alla piazza, l’uomo, Conte, dimostra di avere appeal presso le masse rionali. Sensazioni per un nuovo rassemblement?
Al momento la bandiera rossa, fucsia o amaranto rimane ancora sotto braccio di chi pensava di fissarla sullo stabile preso in affitto, salvo accorgersi che c’era già uno dentro.


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