“355 colpi contro una bambina: la giustizia non può restare muta”
Hind Rajab aveva cinque anni. Cinque. Un’età in cui si dovrebbe imparare a leggere, disegnare, ridere del mondo. Invece, il 29 gennaio 2024, è stata assassinata insieme alla sua famiglia e a due paramedici della Mezzaluna Rossa. Non da un bombardamento cieco, non da un “errore militare”, ma da un ordine preciso. E oggi, grazie a un’inchiesta di Al Jazeera e al lavoro tenace della Fondazione Hind Rajab, sappiamo chi quell’ordine lo ha dato: il maggiore Sean Glass, comandante della 401ª Brigata israeliana, compagnia “Vampire Empire”.
Il racconto è straziante e documentato. Quel giorno, l’esercito israeliano aveva diffuso un ordine di evacuazione per la zona ovest di Gaza, la stessa dove viveva Hind. La famiglia Rajab, fidandosi, salì su un’auto nera per spostarsi verso nord. Dopo appena quattrocento metri, la vettura fu circondata. Cominciò l’inferno.
Alle 13:00, Layan, la cugina quindicenne, chiamò lo zio: “Siamo circondate, stanno sparando contro di noi”. Poco dopo, tutti erano già morti, tranne lei e Hind. Alle 14:30 riuscì a contattare la Mezzaluna Rossa: “Ci stanno sparando, il carro armato è di fianco a me”. Poi più nulla. Anche Layan venne uccisa.
Dopo quella chiamata, rispose Hind. Una voce flebile, di una bambina sola in mezzo ai cadaveri. “Venite a prendermi.” Parole che il mondo intero dovrebbe ascoltare ogni giorno, per capire cos’è davvero il sionismo quando si fa ideologia di morte. Ma nessuno è arrivato in tempo. Poco dopo, l’auto della famiglia Rajab è stata crivellata da 355 proiettili. Trecentocinquantacinque. E a morire è stata anche lei, l’ultima testimone viva di quella strage.
Le prove raccolte mostrano che Sean Glass non solo ordinò di aprire il fuoco sull’auto, ma anche di eliminare i paramedici che tentavano di salvare Hind. L’esercito israeliano mentì, dichiarando che nessun soldato era presente. Eppure oggi le responsabilità sono chiare, inchiodate da documenti, audio e testimonianze.
Quella di Hind è una storia simbolo. Una fra oltre ventimila vite di bambini palestinesi distrutte a Gaza.
Se è vero che siamo alla fine di questa immensa tragedia, allora è il momento di guardarla in faccia. Israele non può far finta di non vedere. Le autorità israeliane hanno il dovere di punire i responsabili, di espellere dal proprio esercito chi si è macchiato di sangue innocente. L’Europa, se vuole ancora definirsi civile, ha il dovere di chiedere giustizia, non complicità.
Perché quando un esercito spara 355 proiettili contro una bambina di cinque anni, non è guerra.
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