VERDE COME I DOLLARI – La fine del sogno europeo?
La fine del sogno europeo? C’era una volta l’Europa delle speranze, dei giovani in Erasmus, della moneta unica e dei diritti condivisi.
Oggi, a guardare il panorama politico del nostro continente, sembra tutto svanito.
In questi giorni mi trovo in Romania per una conferenza sul Futuro della Governance, ed ho avuto modo di toccare con mano la frustrazione di tanti in occasione delle recenti elezioni presidenziali. Dopo l’annullamento della prima tornata elettorale, in cui aveva prevalso con ampio margine il candidato di estrema destra Georgescu, una seconda votazione si è tenuta tra mille polemiche e tensioni.
A spuntarla, per una manciata di voti, è stato il candidato liberale Dan, sostenuto dalle istituzioni europee e da una coalizione di forze centriste. Ma si è trattato più di un atto di contenimento che di una vittoria politica.
L’Europa di oggi si è trasformata in un’arena polarizzata, dove il confronto elettorale non avviene più tra progressisti e conservatori, tra visioni diverse di società e futuro, ma tra chi promette una rottura radicale con l’ordine esistente — l’ultradestra — e chi difende lo status quo — i liberali.
I partiti progressisti, una volta motore di sogni collettivi, sono ormai marginali o scomparsi. Silenziosi. Ininfluenti.
In questo scenario, l’unico “racconto” che sembra mobilitare davvero l’elettorato è quello della destra radicale.
Prima Georgescu e poi il suo alleato Simioni in Romania, hanno saputo interpretare il disagio sociale, la rabbia contro la corruzione e la sfiducia verso le élite di Bruxelles. Il loro messaggio è stato semplice, diretto, emozionale.
Il candidato liberale Dan, invece, ha fatto leva su formule astratte, su concetti come “stabilità” e “continuità europea”, che sempre meno riescono a suscitare entusiasmo.
Questo schema si ripete in tutta Europa. In Francia, in Germania, perfino nei paesi scandinavi, le forze liberali si arroccano nella difesa dell’ordine attuale, mentre l’ultradestra guadagna terreno promettendo identità, protezione, riforme radicali.
L’assenza di una sinistra capace di ispirare, di offrire una visione diversa del futuro, è il vuoto che rischia di inghiottire la democrazia europea.
La domanda che dobbiamo porci è semplice e inquietante: può sopravvivere l’Unione Europea senza un sogno?
Senza un’utopia collettiva che vada oltre la stabilità dei conti pubblici e il rispetto delle regole comuni? Perché i popoli hanno bisogno di speranza, non solo di rassicurazioni.
Oggi, il progetto europeo rischia di diventare una macchina senza anima. Una costruzione fragile, difesa da tecnocrati e messa sotto assedio da agitatori nazionalisti. Se non sapremo reinventare un sogno europeo capace di parlare al cuore e non solo alla ragione, forse quella che stiamo vivendo è davvero la fine di un’epoca.
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