Addio a Goffredo Fofi, intellettuale “degli ultimi”
Voce scomoda della sinistra, mai "di corte", ai margini per vedere meglio le storture del mondo
E’ morto Goffredo Fofi, una delle voci più lucide, radicali e controcorrente della cultura italiana. Saggista, critico teatrale e cinematografico, editore, polemista, animatore culturale instancabile, è morto a 88 anni all’Ospedale Cavalieri di Malta a Roma ove si era operato per la rottura di un femore. Intellettuale militante e voce scomoda della sinistra, ha attraversato il secondo Novecento con lo sguardo degli ultimi e degli esclusi.
Gli anni ’60 e ’70
Negli anni Sessanta e Settanta, Fofi è stato uno dei principali animatori della “cultura di opposizione” dando vita, assieme ad altri intellettuali, a riviste divenute centrali nella riflessione politica e culturale di quella che si definiva sinistra eterodossa, come i “Quaderni piacentini”, “Ombre rosse”, “Linea d’ombra” e “La terra vista dalla luna”, spazi di libertà critica capaci di cogliere i movimenti sotterranei di una società in trasformazione.
Nato a Gubbio, Fofi ha attraversato decenni di storia italiana con uno sguardo sempre vigile e mai riconciliato, ponendo al centro della sua ricerca il rapporto tra arte e realtà sociale. Una figura che ha saputo unire la passione intellettuale all’impegno civile, il rigore dell’analisi alla curiosità per il nuovo, l’insofferenza verso l’accademia con l’urgenza di “stare dentro” i conflitti del suo tempo.
La critica cinematografica di Fofi, “specchio dei cambiamenti”
Critico cinematografico tra i più originali del dopoguerra, Fofi non si è mai limitato a recensire film: li ha letti come specchi- a volte deformanti, a volte rivelatori – della condizione umana e dei cambiamenti sociali. Ha scoperto e sostenuto registi, attori, scrittori, spesso prima che venissero riconosciuti dal canone ufficiale. Il suo sguardo era, ed è, anticipatore: non seguiva le mode, le individuava quando ancora stavano per formarsi.
Ma è stato anche un critico letterario, teatrale, osservatore della società, “disincantato ma non rassegnato”. La sua scrittura, mai neutra, è sempre stato un atto politico, nel senso più alto del termine. La sua militanza non si è mai legata ai partiti, ma ha abitato i luoghi vivi della cultura e della coscienza collettiva: i libri, le riviste, le sale cinematografiche, le redazioni, le scuole, le strade. Tra i suoi libri più importanti, “Prima il pane”, “Strana gente”, “Pasqua di maggio”, “Sotto l’ulivo”, “Le nozze coi fichi secchi”, oltre ai numerosi volumi firmati con altri intellettuali come Gad Lerner (uno degli ultimi a visitarlo in ospedale e oggi tra i primi a ricordarlo raccontando la sua voglia di “fare ancora”), Franca Faldini, Michele Serra, Stefano Benni. Nel 2008 aveva fondato, insieme a Giulio Marcon, le Edizioni dell’Asino, significativo tassello del suo impegno per una cultura popolare, accessibile ma mai semplificata.
Ai margini, per guardare meglio le storture del centro
Negli ultimi decenni aveva diretto la rivista “Lo straniero”, esempio raro di spazio critico indipendente, sempre dalla parte degli ultimi, dei marginali, dei non ascoltati. Chi lo ha conosciuto lo descrive come un uomo gentile, curioso, affilato ma generoso, capace di ascoltare e di dire di no, spesso scomodo, ma sempre mosso da un’etica profonda e da un bisogno di giustizia che trascende ogni ideologia.
Mai un intellettuale “di corte”, ha scelto di stare ai margini, da dove si vedono meglio le storture del centro. E proprio da quei margini ha lanciato segnali, provocazioni, inviti alla disobbedienza e alla riflessione.
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