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Assorbenti: quando il pudore muore in nome dell’emancipazione

di Anna Tortora -


C’è un limite tra parlare apertamente di un tema e renderlo spettacolo. E quella linea, nel caso della pubblicità degli assorbenti, è stata ampiamente superata. Un tempo si riusciva a comunicare con sobrietà anche su argomenti delicati. Gli spot erano discreti, rispettosi. La parola mestruazioni non si pronunciava neppure, ma chi doveva capire capiva. Non si trattava di vergogna, ma di rispetto per l’intimità. Oggi invece, sotto la bandiera della “libertà di espressione”, ci troviamo sommersi da messaggi sempre più espliciti, invadenti e spesso imbarazzanti.

Il liquido rosso: simbolo di un presunto progresso?

Il liquido rosso è diventato simbolo di un presunto progresso. Si insiste nel voler “normalizzare” il ciclo mestruale mostrandolo nei dettagli, come se la consapevolezza del corpo dovesse per forza passare attraverso immagini crude o slogan aggressivi. Ma c’è davvero bisogno di tutto questo? Davvero l’unico modo per affermare la libertà femminile è rendere pubblica ogni funzione biologica?

Esibizionismo o emancipazione?

Il risultato non è più informazione o educazione, ma esibizionismo travestito da progresso. Come se il ciclo, da esperienza personale, dovesse trasformarsi in battaglia ideologica, oggetto di marketing, spettacolo da mandare in onda a tutte le ore.

L’incoerenza dell’autonomia messa in scena

E poi ci sono scenette che rasentano l’assurdo: due donne adulte che chiamano un uomo al supermercato per spiegargli quali assorbenti deve comprare per loro. Sarebbe ironico, forse, se non fosse anche profondamente incoerente. Ci raccontano da anni che la donna è autonoma, consapevole, libera — e poi ci mostrano due adulte incapaci di scegliere un prodotto per sé stesse senza coinvolgere un uomo? Un’immagine infantilizzante, che svuota di significato tutto il discorso sull’indipendenza.

Non è una critica ai pubblicitari, ma ai messaggi

Chiariamo una cosa: non è una critica a chi lavora nella pubblicità. I creativi fanno il loro mestiere, rispondono a richieste di mercato e logiche aziendali. Ma questo non toglie che si possa — e si debba — riflettere sul tipo di messaggi che si decide di diffondere. Il fastidio non è verso chi scrive lo spot, ma verso ciò che si sceglie di comunicare, spesso senza misura, senza pudore, e senza alcun senso del limite.

Il valore del pudore

Il pudore non è arretratezza. È consapevolezza dei contesti, è rispetto per sé stessi e per gli altri. C’è una differenza enorme tra “non avere tabù” e “non avere più filtri”. Non tutto ciò che è naturale deve diventare pubblico. Non tutto ciò che è vero deve diventare spettacolo.

La mia posizione: no a una falsa emancipazione

Io rifiuto di comprare prodotti che si promuovono con questa mancanza di pudore spacciata per emancipazione. Non è libertà mostrare tutto senza filtro, né coraggio trasformare l’intimità in uno show pubblicitario. Se il rispetto per il corpo e la dignità diventano terreno di battaglia per banalizzare e spettacolarizzare, allora quella non è emancipazione: è degrado culturale mascherato da modernità.


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