Cronaca

Alessia Pifferi era in grado di intendere e di volere quando lasciò morire la figlia Diana

di Francesca Petrosillo -


Alessia Pifferi era pienamente consapevole delle proprie azioni quando, nel luglio 2022, lasciò morire di stenti la figlia Diana, di un anno e mezzo, rimasta sola in casa per sei giorni. Lo conferma la perizia psichiatrica disposta nel processo d’appello a Milano, a carico della donna già condannata all’ergastolo in primo grado per omicidio volontario aggravato. L’accertamento, richiesto dalla difesa, aveva l’obiettivo di verificare eventuali patologie psichiatriche o deficit cognitivi tali da compromettere la capacità di intendere e di volere al momento dei fatti.

Secondo gli esperti, la cosiddetta “disconnessione mentale” riferita da Pifferi non costituisce un vizio di mente: la donna era in grado di pianificare le azioni, prevedere le conseguenze dei propri comportamenti e comprendere le sofferenze inflitte alla figlia. Nei colloqui in carcere, Pifferi ha raccontato di momenti in cui la sua mente si “disconnette”, ma non è in grado di spiegare come o perché accadano. Ha inoltre affermato che se i familiari e il padre della bambina fossero stati maggiormente presenti, “tutto questo non sarebbe successo”.

La famiglia della piccola Diana, attraverso l’avvocato Emanuele De Mitri, ha espresso soddisfazione per l’esito della perizia, sottolineando che conferma la piena consapevolezza della donna e definendola “arrogante e presuntuosa”. Gli esperti hanno rilevato un disturbo infantile, ma senza alcuna influenza sulle capacità cognitive attuali della donna.

La perizia, durata sei mesi con una proroga di 90 giorni, è stata raccolta in migliaia di pagine che includono colloqui in carcere e test psicologici; le conclusioni, sintetizzate in circa trenta pagine, confermano che Pifferi era in pieno possesso delle proprie facoltà mentali durante il tragico episodio. Il documento sarà discusso in aula il 24 settembre, con la sostituta procuratrice generale Lucilla Tontodonati e i consulenti della pubblica accusa, della difesa e della parte civile.

Gli esiti della perizia potrebbero avere ricadute sul cosiddetto “caso Pifferi bis”, che vede indagati l’avvocata della donna, il consulente e alcune psicologhe del carcere San Vittore, accusati di aver manipolato documenti e un test di intelligenza per simulare un quoziente intellettivo di 40, con l’obiettivo di evitare l’ergastolo. L’udienza preliminare è fissata per l’11 settembre, con interrogatori degli imputati.


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