Politica

“Basta con il sovrapotere delle compagnie web”

Prima dello scandalo dei siti hard che diffondono la violenza digitale, il senatore Zanettin aveva presentato un ddl in Parlamento

di Angelo Vitale -


Dal caso del Gruppo Facebook e del forum hard Phica all’indispensabile manovra che tutti ormai chiedono allo Stato: a che punto è la sensibilità della politica sul potere delle compagnie web?

Prima dello scandalo, un ddl per indagini più efficaci sul web

Prima che la violenza digitale rappresentata da queste iniziative deflagrasse nella cronaca fino a diventarne argomento quotidiano, in Parlamento c’è stato chi per tempo aveva studiato una delle soluzioni necessarie. L’identità ha sentito il senatore azzurro Pierantonio Zanettin che, con il capogruppo Maurizio Gasparri e la collega Stefania Craxi, è firmatario di un ddl incentrato sulla nuova frontiera delle indagini informatiche, presentato nel maggio scorso.

Zanettin: Le piattaforme si rifiutano di collaborare

Cosa è necessario fare che non sia già stato fatto?
“Soprattutto, cosa c’è da fare che sia utile davvero. Ho preso spunto dalle parole che ha pronunciato il Capo della Polizia Vittorio Pisani nel maggio scorso al Festival di Trento dell’Economia. Segnalava che il problema che ha la Polizia Postale, al di là dell’identificazione di nuovi reati, di nuove sottospecie delittuose, è rappresentato dal fatto che le piattaforme digitali beneficiano di una normativa meno stringente rispetto alle compagnie telefoniche, che consente loro di non prestare la necessaria collaborazione alla autorità giudiziaria. Ha citato Telegram, però l’esperienza quotidiana di avvocato mi ha insegnato che anche altre piattaforme, più diffuse, non sempre collaborano e forniscono le necessarie informazioni per la prosecuzione delle indagini e l’accertamento degli autori. Allora, il testo di legge che ho predisposto modifica in maniera innovativa la normativa. E prevede, appunto, due nuove fattispecie di reato, a carico delle piattaforme, una colposa e una dolosa per la mancata collaborazione o l’omissione di informazioni. Ho previsto inoltre – questa è una novità significativa -una responsabilità amministrativa della società, ex legge 241, che potrà costituire a mio avviso, un deterrente importante. In più ho previsto la giurisdizione italiana per questi reati, anche che se commessi all’estero ai danni del cittadino italiano. Ho puntato ad estendere al massimo la giurisdizione, perché molto spesso la difesa degli indagati tende ad eccepirne il difetto, perché il server è situato all’estero”.

Più difficile colpire l’anonimato?
“Le norme da me proposte tendono a mettere l’autorità giudiziaria nelle condizioni di identificare il soggetto che si nasconde sotto uno pseudonimo attraverso la collaborazione delle piattaforme. Temo che sia molto difficile imporre una identità digitale agli utenti del web. E’ un tema delicato, i giganti digitali si oppongono. Su tutto ciò incombe addirittura una presa di posizione degli Stati Uniti: JD Vance, nel famoso discorso che ha pronunciato a Monaco all’Unione Europea, ha detto di essere per il Free Speech, la libertà totale di espressione sulle piattaforme digitali, ritenendo che porre limiti a questa libertà di espressione sia illiberale”.

“No all’anonimato, ma l’intervento è difficile”

Ma quale è la sua posizione personale?
“Sono assolutamente d’accordo sul fatto che l’Europa e i Paesi democratici devono disciplinare e limitare l’ingerenza delle piattaforme. Sono favorevole ad una web tax nei confronti delle big tech. Pensiamo ad Amazon, quanti piccoli commercianti hanno dovuto chiudere per la sua concorrenza. E c’è il problema dei minori, dei contenuti pornografici, delle fake news con finalità di turbare l’opinione pubblica e condizionare politicamente le elezioni democratiche. Ma questo è un discorso molto più largo, molto più esteso che non può limitarsi all’Italia riguarda il Parlamento europeo, l’Europa intera”.

Cosa si aspetta dalle opposizioni?
“Credo che ci possa essere assolutamente convergenza. E’ un tema certamente trasversale, che non ha connotazione ideologica”.

Il sovrapotere delle big tech

Perché finora non si è intervenuti con decisione?
“Perché c’è sempre un ostacolo da parte delle compagnie digitali, che non vogliono norme che le regolamentino e ne limitano l’azione. Hanno interessa a lucrare al massimo il profitto che viene generato sul web dalla visione di questi siti e quindi sono del tutto renitenti. Su questi temi noto che ormai le forze politiche sono tutte molto sensibili. Il problema è che le piattaforme non accettano giurisdizioni nazionali e quando ci sono, le contrastano”.

All’ampliamento continuo della tecnologia di fronte al quale le istituzioni sono sempre un po’ in ritardo, bisogna rispondere quindi con una tecnica giuridica più attrezzata?
“Sì, ma il problema non è solo il ritardo, è lo strapotere delle big tech. Esse ormai costituiscono un sovrapotere che supera di gran lunga quello dei parlamenti democratici e degli Stati nazionali, hanno una potenza economica, un potere di lobbying e un potere di condizionamento politico nei confronti dei governi grazie ai quali riescono a impedire ogni possibile normativa. Noi, però, proveremo a mettere loro qualche limite”.


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