Sci, che velocità estreme! Incidenti sempre più gravi. Franzoso lotta per la vita
Gli incidenti sulle piste da sci non sono una novità, ma la loro frequenza tra gli atleti professionisti oggi preoccupa e impone una riflessione. La caduta di Matteo Franzoso a La Parva, in Cile, che lo ha ridotto in condizioni gravissime, riporta al centro il tema della sicurezza di uno sport che negli ultimi anni ha spinto sempre più sull’acceleratore. Nelle discipline veloci si sfiorano i 140/150 chilometri orari tra gli uomini e i 120/130 tra le donne. Velocità impressionanti, con curve strette, salti, visibilità incerta e piste spesso preparate a ghiaccio vivo. Basta un errore minimo per trasformare la competizione in tragedia. Lo sa bene Aleksander Aamodt Kilde, il campione norvegese che la scorsa stagione ha rischiato la vita ed è rimasto fermo per mesi dopo un incidente violentissimo. Franzoso, 25 anni, promessa delle Fiamme Gialle, stava preparando il sogno olimpico di Milano-Cortina 2026. Sabato la caduta terribile in allenamento: un salto mal controllato, l’impatto contro una staccionata di legno, il trasporto d’urgenza in elicottero a Santiago, dove è in coma farmacologico per un’estesa emorragia cerebrale. La sua storia si intreccia con quella di Matilde Lorenzi, scomparsa un anno fa a soli 19 anni per un incidente in Val Senales. Due famiglie unite da un dolore che sembra non avere fine. Ogni stagione porta con sé un lungo elenco di infortuni pesantissimi: fratture multiple, crociati rotti, commozioni cerebrali. E talvolta la morte. Negli anni Ottanta il dramma di Leonardo David (1960-1985), caduto a Lake Placid e rimasto in coma per sei anni prima di morire, segnò uno spartiacque. Ma oggi, con materiali sempre più performanti, sci che non perdonano nulla e tracciati pensati per lo spettacolo televisivo, il margine d’errore è praticamente azzerato. Domenica i compagni di Franzoso hanno scelto di non allenarsi. Paris, Casse, Innerhofer, Franzoni, Schieder, Bosca, Alliod, Molteni, Abbruzzese: nessuno ha avuto la forza di passare nel punto della caduta. Un gesto di solidarietà, ma anche un messaggio implicito: il tempo della riflessione è arrivato. La Fondazione Lorenzi, nata dopo la morte di Matilde, ha già avviato corsi di sensibilizzazione e primo soccorso per allenatori, uno studio con il Politecnico di Torino per mappare i rischi, collaborazioni con il Soccorso alpino. Un lavoro importante che ora deve essere raccolto dalle federazioni e dalla Fisi. Perché lo sci non può continuare a produrre feriti gravi e, troppo spesso, vittime. La domanda è inevitabile: lo sci professionistico non è diventato una roulette russa? Gli atleti sanno di rischiare e mettono in conto gli infortuni, ma il confine tra coraggio e azzardo è sempre più sottile. Con materiali sempre più rapidi e piste sempre più ghiacciate, i 150 all’ora non sono più un’eccezione, ma la norma. Non si tratta di demonizzare lo sci, che resta una disciplina affascinante e nobile, ma è giusto chiedersi se la ricerca dello show televisivo, dei tempi record e delle emozioni a ogni costo non stia spingendo troppo oltre. Ogni volta che un nome come quello di Matteo Franzoso finisce nelle cronache nere dello sport, il mondo dello sci deve trovare il coraggio di fermarsi e interrogarsi: fino a che punto vale la pena spingere sull’acceleratore?
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