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Cultura & Spettacolo

IN LIBRERIA – Santo Cielo

di Eleonora Ciaffoloni -


Santo cielo di Éric Chevillard: un aldilà imprevisto

Non c’è schema, non c’è trucco e non c’è inganno: c’è la morte. Ma non è esattamente come ce la si aspetta da vivi. Perché leggere Santo cielo, di Eric Chevillard (edito da Prehistorica e tradotto nella versione italiana da Gianmaria Finardi) è come entrare nel cosiddetto “ufficio complicazioni affari semplici”.
In questo Santo cielo on c’è la pace come ce la si immagina nel conosciuto in terra regno dei cieli: in questo trapasso, ci sono svariate domande, un nuovo presente, un nulla che poi un nulla non è. Eppure, il protagonista Albert Moindre, “dall’altra parte”, non prova dolore né smarrimento: anzi, si sente sorprendentemente leggero, persino più in forma di quando era vivo. Albert ha cambiato stato e persino campo lessicale, da quando è arrivato lì dopo essere morto in un incidente tanto assurdo quanto fatale: travolto da un camioncino carico di datteri e olive denocciolate.
Inizia così la sua avventura nell’aldilà, un luogo che Chevillard immagina come un’irriverente e tragicomica burocrazia celeste.

Un romanzo tra ironia e domande esistenziali

Guidato da una voce onnisciente, Albert attraversa questo “regno” suddiviso in quattro uffici ultraterreni – l’Ufficio delucidazioni, l’Osservatorio, l’Assistenza reclami e il Servizio ricompense – dove gli è concesso finalmente di scoprire tutto ciò che la vita gli aveva negato: il senso delle cose, la verità, la giustizia, fino a Dio.
Il lettore non fatica a immedesimarsi in Albert Moindre — nonostante il protagonista sia defunto — perché Chevillard lo accompagna come se stesse costruendo e scoprendo la storia insieme a lui (e al lettore). Gli interrogativi che agitano Albert potrebbero essere esattamente quelli di chi legge: molto probabilmente non lo sono le risposte spiazzanti, tutte di penna dell’autore che non offre mai certezze: capovolge la prospettiva, alterna momenti di tenerezza e commozione a quelli di ironica lucidità.
Un istante Albert tenta invano di sfiorare il volto della figlia, quello dopo elenca tutte le piccole ingiustizie che gli hanno guastato l’esistenza. È difficile etichettare questo libro in un genere ed è difficile capire quale sia veramente ciò che lo contraddistigue, se l’originalità, l’ironia, l’innovazione, la leggerezza “pesante”.
Leggere Santo cielo significa attraversare un confine, vivere un’esperienza accettando di giocare con i miti e (anche) con la morte che forse, almeno quella immaginata da Éric Chevillard, non sembra essere così terribile.


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