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Abusi sessuali nella Chiesa, oltre mille gli “orchi” tra i sacerdoti

Le vittime documentate sono oltre 4mila e 600, oltre il 75% dei casi non viene denunciato alla magistratura

di Angelo Vitale -


Abusi sessuali nel clero cattolico in Italia, il fenomeno continua da anni a registrare numeri drammatici tra i sacerdoti e a rappresentare l’inascoltata esigenza di interventi urgenti e strutturali.

Abusi sessuali nella Chiesa, la denuncia della Rete L’Abuso

Ne è rinnovata prova il Rapporto aggiornato al 2025 di Rete L’Abuso, l’associazione di quelli che si presentano sopravvissuti agli abusi, chiedendosi drammaticamente ancora oggi quanti siano in tutto il nostro Paese.

L’Abuso è una rete nata nel 2010 dall’idea di un gruppo di vittime di preti pedofili. In occasione di un incontro internazionale a Roma, si resero conto delle incredibili analogie tra i loro casi, quelli nei quali l’abusatore era un sacerdote.

Da allora, cominciarono a verificare come la Chiesa gestisce la vittima, la famiglia, il pedofilo e le persone che erano a conoscenza dei fatti. Uno schema abituale, ogni volta concluso dal trasferimento ad altra parrocchia del sacerdote pedofilo nella contemporanea omissione di denuncia alle autorità.

Un macigno, per le vittime: la mancata denuncia non permette loro di ottenere il dovuto risarcimento, utile almeno a poter affrontare una terapia psicologica. Succedeva così in Italia come altrove, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania.

La denuncia quotidiana

Perciò la Rete. Un supporto per le vittime, uno strumento di continua e aggiornata denuncia. Oltre 1.100 i sacerdoti che risultano coinvolti in casi censiti dal 2000 a oggi, su un totale di circa 31mila religiosi attivi nel Paese.

Le vittime documentate sono oltre 4mila e 600, principalmente minorenni e in netta prevalenza maschi. Dati precisi che sono una goccia nel mare dell’enorme sommerso stimato. Oltre il 75% dei casi non è mai stato denunciato all’autorità giudiziaria italiana, spesso a causa dei termini prescrittivi o della mancata denuncia da parte delle stesse istituzioni ecclesiastiche.

Un fenomeno sistemico, noto da decenni alla Chiesa cattolica, che ha agito spesso coprendo o minimizzando il problema.

Le regioni più colpite

Le regioni italiane che più registrano gli abusi sessuali dei sacerdoti mostrano numeri allarmanti: le regioni con più casi spesso coincidono con le aree più densamente popolate e con il maggior numero di sedi ecclesiastiche. Con la Lombardia in testa (174 casi censiti), seguita da Lazio, Piemonte, Sicilia, Veneto e Toscana.

La condizione penale dei casi è spesso stagnante: pochi casi arrivano a indagini o condanne, e ancor meno risultano in condanne definitive, mentre gran parte di questi processi procede parallela anche in sede canonica con archiviazione e poca trasparenza.

L’assenza di strumenti legislativi efficaci si somma alla carenza di obblighi di denuncia, che limita fortemente la capacità preventiva delle leggi italiane e l’efficacia di certificati anti-pedofilia.

Il Rapporto denuncia che l’Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi europei, dove anche risarcimenti, sostegni concreti alle vittime e commissioni d’inchiesta indipendenti stanno cominciando a dare segnali di un’inversione di tendenza, rispetto agli abusi sessuali dei sacerdoti.

Nonostante le raccomandazioni ormai datate dell’Onu al nostro Paese per adottare un nuovo piano nazionale di prevenzione, nulla di efficace è stato effettivamente avviato. La Chiesa cattolica in Italia mantiene ancora una posizione di impunità di fatto, favorita da accordi di natura concordataria e da una gestione interna non sempre trasparente.

Il caso di don Ciro Panigara

Tra i casi più eclatanti, quello citato nel Rapporto di don Ciro Panigara, parroco bresciano: “Come la stessa Diocesi dichiara, già dieci anni prima avrebbe abusato di cinque minori. Omessa la denuncia alle autorità italiane da parte della Chiesa, è rimasto nell’ombra fino allo scorso dicembre quando è stato reintegrato, poco dopo ha reiterato come da manuale il crimine. In questo caso l’obbligo di denuncia prima, il certificato anti pedofilia dopo, avrebbero evitato una tragedia palesemente annunciata che è indiscutibile e che di fatto però, ha creato nuove vittime”.

L’appello

Perciò, pressante, l’appello a intervenire con leggi più efficaci, obblighi di denuncia estesi a tutti i cittadini, revisione del certificato anti-pedofilia per includere anche i volontari – catechisti, laici, scout – e altre figure ecclesiastiche, e soprattutto con una significativa opera di sensibilizzazione e formazione che coinvolga minori, famiglie e comunità.

L’obiettivo, una autentica cultura della prevenzione e della tutela. Solo così sarà possibile arginare un fenomeno che per anni ha distrutto le vite umane e ha minato la fiducia nella Chiesa e nelle istituzioni.

La giustizia in Italia

Un tema che resta prioritario per la società italiana, superando finalmente silenzi e insabbiamenti. Perché amarissima è anche la conclusione del Rapporto indirizzata ad un commento sull’operato della giustizia italiana.

“Pur molto più efficiente di quella canonica – è affermato -, vede sole 155 condanne definitive su 1.106 casi noti. Questo non per colpa della magistratura, che di fatto ha il limite di applicare le leggi”.

La difficoltà, in “una serie di vuoti legislativi che rendono estremamente difficoltose la giustizia stessa, la prevenzione e la stessa segnalazione preventiva “nell’interesse superiore del minore” praticamente inesistente, la possibilità per lo stesso sopravvissuto di denunciare entro i limiti della prescrizione, dal 2012 modificati da 10 anni ai 20 anni attuali, tuttavia ancora insufficienti”.

Perché – statisticamente – la media degli anni necessari ad una vittima per maturare il trauma, esternarlo e riuscire a denunciarlo, è di 25 – 30 anni.


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