La voce nel file spegne il silenzio del male. Ergastolo all’ex marito
L’ergastolo corre sulla richiesta di aiuto della vittima affidato a una registrazione drammatica e risolutiva. Il fine pena mai (o quasi) viene inflitto dalla Corte d’Assise di Padova all’ex marito Erik Zorzi, che ha architettato il suicidio della compagna dopo averla strangolata. Almeno sono queste le conclusioni cui perviene la giuria popolare, accogliendo le richieste del Pm Maria D’Arpa. Se non fosse stato per quel file, oggi la morte di Nicoletta Rotaru, 39 anni, sarebbe solo una pagina di cronaca nera chiusa in fretta: un suicidio domestico, un dramma privato archiviato tra le statistiche dell’estate scorsa. Invece, dentro quel file, c’era la verità. O almeno presunta tale fino al terzo grado.
Il file audio
Una voce che si spegne, un respiro che si interrompe, un grido che implora: “Ti prego, non farmi del male…”. Poi un colpo, i passi, il silenzio. È tutto lì, in pochi minuti di registrazione rimasti sepolti nel telefono. L’assassino alla lettura della sentenza è rimasto imperturbabile. La Corte ha disposto anche la decadenza dalla potestà genitoriale, oltre al pagamento delle spese e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
IL GIALLO
Il camionista Erik Zorzi, 43 anni, ex sottufficiale dell’Esercito, accusato di aver inscenato il suicidio della moglie e di averla invece uccisa, è stato incastrato da un frammento sonoro che nessuno pensava di trovare. Il nastro è venuto alla luce mesi dopo la morte di Nicoletta, avvenuta il 3 agosto 2023 nella casa di Abano Terme. All’inizio, tutto sembrava compatibile con un gesto volontario: la donna trovata impiccata, la scena ordinata, il marito che chiama i soccorsi. Zorzi aveva pianto davanti ai carabinieri, parlato di depressione, di difficoltà familiari, di una moglie che “non ce la faceva più”. I primi accertamenti avevano lasciato aperta la strada all’archiviazione. Solo la madre di Nicoletta, Angela Rinelli, non si era arresa. “Mia figlia non si sarebbe mai uccisa”, ripeteva. E ha chiesto, con ostinazione, che venissero riesaminati i telefoni, i backup, tutto ciò che era rimasto nei dispositivi di casa. Per quel comportamento il giudice Domenica Gambardella ha ordinato che gli atti siano trasmessi alla Procura per valutare il comportamento dei carabinieri di Abano e Montegrotto Terme. Perché solo nel silenzio di un laboratorio forense, un perito informatico di parte ha aperto un vecchio file automatico. Lo ha fatto partire, senza sapere cosa avrebbe sentito. Dapprima rumori indistinti, poi la voce di una donna che implora pietà. Le parole si spezzano, diventano fiato. In sottofondo una voce maschile, la stessa di Zorzi, che ordina, bestemmia, ansima. Poi un tonfo, e più nulla. Era la voce di Nicoletta che moriva. Un file casuale, rimasto in memoria come un testamento involontario. Quando l’audio è arrivato in Procura nella città del Santo, la storia è cambiata direzione. L’ipotesi di suicidio è crollata. Gli inquirenti hanno disposto nuove perizie, confronti fonetici, analisi temporali. La voce dell’uomo combaciava perfettamente con quella del marito. Da quel momento, Zorzi è diventato il principale indagato per omicidio volontario aggravato: un femminicidio. Il Pm D’Arpa ha ricostruito le ore del delitto: il litigio, la colluttazione, la morte per strangolamento, e poi la messa in scena del suicidio. Un piano calcolato per deviare l’attenzione e guadagnare tempo. Ma il telefono, rimasto acceso, ha registrato tutto.
LA FORZA DELLA MADRE
Nel corso delle udienze, il nastro è stato fatto ascoltare in aula. Un silenzio irreale ha riempito l’aula della Corte. Gli avvocati hanno abbassato lo sguardo, la madre ha pianto in silenzio. Zorzi è rimasto immobile, con lo sguardo fisso sul banco dei giudici. I periti della difesa hanno provato a mettere in dubbio l’autenticità del file, ma le analisi tecniche hanno confermato: nessuna manipolazione, nessun montaggio. È una registrazione pulita, integrale, compatibile con l’ora della morte e con le tracce biologiche trovate sul corpo della vittima. A distanza di più di un anno il processo ha dimostrato che la mamma di Nicoleta «veva ragione ad insistere. “Mia figlia non pteva essersi uccisa, aveva voglia di vivere e di rifarsi una vita lontano da quell’uomo violento”. L’ergastolo per Zorzi fotografa non solo la brutalità del gesto, ma anche la freddezza della messinscena. “Ha recitato la parte del marito distrutto – ha detto il Pm – ma la voce di Nicoletta lo ha smascherato”. Fuori dall’aula, la madre della vittima ripete una frase che ormai è diventata il simbolo di questa vicenda: “Quell’audio è stato la voce di mia figlia che chiede giustizia. Non potevo lasciarla finire nel silenzio”. La verità, stavolta, non è stata scritta da una confessione o da una perizia, ma da una registrazione che ha dato voce alla vittima nel momento stesso in cui la vita le veniva tolta. Un file che nessuno avrebbe dovuto ascoltare e che invece, come una forma di giustizia silenziosa, ha parlato più di qualunque testimone. Perché a volte la verità arriva così: un sussurro che si affievolisce, un respiro che si ferma, e un colpevole che resta solo davanti alla voce di chi ha ucciso.
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