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Attualità

Sicurezza, tra ritardi, frenesia politica e responsabilità di Stato

di Giuseppe Tiani -


Nel dibattito politico italiano la sicurezza è terreno di competizione politica più che un cantiere di governo, anche alla luce delle mancate misure del DDL bilancio. La sinistra, nelle ultime settimane, rincorre con affanno i temi della sicurezza cari alla destra, adottando sui territori toni muscolari estranei alla propria cultura politica, avendo messo da parte e per troppo tempo, la prospettiva di costruire modelli alternativi ad una visione più securitaria.

La destra di governo che sul tema è stata più concreta, ma dal canto suo, gareggia interna­mente sul rigore dei “decreti sicurezza”, trasformando un tema costituzionale in marchio identitario. Ne deriva un paradosso, la sicurezza che dovrebbe poggiare su visione, investimenti stabili e competenze viene ridotta a bene elettorale da consumare nell’immediato. È qui che il discorso pubblico mostra la sua debolezza.

Sicurezza e giustizia non appartengono all’improvvisazione, sono infrastrutture della democrazia, presidi di stabilità e garanzie di libertà. Non reggono alla pressione delle narrazioni semplicistiche. Un Paese maturo non vive di slogan, ma della capacità delle istituzioni di assicurare ordine, prevenzione, investigazione e giustizia effettiva. Senza personale adeguato, tecnologia moderna, organici flessibili e una macchina amministrativa in grado di programmare, la sicurezza resta una promessa fragile, spesso smentita dalle criticità del territorio.

È un dato che nessuna maggioranza può rimuovere, sicurezza e giustizia costituiscono l’ossatura della Repubblica, non variabili da talk show. Le patologie strutturali sono gli organici ridotti dalla legge Madia. Rigidità del tetto dei trattamenti accessori e dello straordinario non liquidato ai poliziotti, invecchiamento del personale, assenza di un Fondo stabile dedicato alla specificità del comparto. Da anni si rincorrono norme episodiche, misure tampone, deroghe temporanee ma manca un’architettura sistemica.

In questo vuoto si colloca la proposta dei sindacati di polizia Siap e Anfp, consegnata al Ministro dell’Interno, ai segretari di partito e ai gruppi parlamentari, per l’istituzione di un Fondo permanente per la specificità del personale di sicurezza e difesa, previsto dall’articolo 19 della legge 183/2010. Non un privilegio, ma il riconoscimento della specificità che tutela un bene pubblico costituzionale, la sicurezza dei cittadini della Repubblica.

Il Fondo, pienamente compatibile con l’art. 81 della Costituzione e con la nuova governance economica europea, sarebbe alimentato attingendo alla quota del 5% del PIL che l’Italia dovrà destinare entro il 2035 alla difesa e alla sicurezza secondo il nuovo benchmark NATO. La ripartizione proposta è chiara, 3,5% alla Difesa, 1,5% alla Sicurezza interna, destinata a indennità, perequazioni previdenziali, welfare e rafforzamento della retribuzione accessoria del personale in uniforme. Non è corporativismo ma politica pubblica.

Per questo le dichiarazioni del Ministro Guido Crosetto nel question time di mercoledì scorso hanno un valore decisivo. Il titolare della Difesa ha confermato che l’1,5% sarà destinato alle funzioni generali di sicurezza, accogliendo di fatto e integralmente la visione proposta dal Siap. Il sindacato lo ha ricordato in una nota. «L’1,5% dedicato alle funzioni generali di sicurezza risponde integralmente alla nostra proposta, oggi oggetto di una raccolta firme nazionale». Un passaggio che sposta l’attenzione dalla propaganda alla progettazione.

In questo quadro, è altrettanto positivo l’annuncio del ritiro progressivo dei militari dall’operazione “Strade Sicure”. Nato come dispositivo emergenziale, è diventato il surrogato della presenza richiesta alle forze di polizia. Il ritorno dei militari ai compiti propri e il rafforzamento degli organici di polizia, riportano l’Italia verso un modello coerente con gli standard europei e con le funzioni costituzionali dei diversi corpi dello Stato. Se la politica vuole recuperare credibilità, dovrà partire da qui. Risorse stabili, riforma dei tetti organici, potenziamento dei ruoli intermedi in primis gli ispettori di polizia, investimenti su formazione, coordinamento istituzionale e integrazione tra sicurezza interna e difesa.

Tutto il resto è competizione narrativa. La sicurezza quella vera, invece, è architettura dello Stato, costruita giorno dopo giorno da donne e uomini che ne rappresentano l’ossatura. Senza di essa, così come senza una giustizia che funzioni, non c’è società che possa reggere.


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