L’importanza del Teatro, arma dell’essere nell’era del fare
La società contemporanea sembra privilegiare il “capire” sul “sentire”. Le radici di questo fenomeno affondano nel secolo scorso. Il ‘900 è stato un periodo che ha visto fiorire ideologie e psicologie. La mente era panacea e danno. Ogni cosa, anche la più lontana, passa sotto il tribunale della ragione, perfino l’Arte. Tra tutte, il Teatro e le arti visive sono quelle che si prestano meno a interpretazioni cognitive. Kant nella Critica della ragion pratica scrive: “Due cose riempiono lo spirito d’un’ammirazione e d’una venerazione sempre nuova e sempre crescente, quanto più la riflessione vi si applica: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me”. Il filosofo mostra il dualismo che attraversa l’essere umano. La natura da un lato e la libertà interiore della ragione dall’altro. È a partire da questa frattura che Kant cerca un ponte tra sensibilità e razionalità. La riconciliazione è scritta nella Critica del giudizio. Qui, Kant, ci dice che i giudizi estetici riflettono finalità soggettive e che nella formulazione del giudizio, l’empirico decade. Non esistendo oggetti belli di per sé, è l’uomo a proiettare esteticità. La bellezza non dipende da fattori empirici o materiali, ma da elementi presenti nel soggetto (dentro chi guarda) scatenati dall’oggetto. Ma ciò avviene solo se si mette da parte la pesantezza dell’empiria. Il filosofo tedesco sostiene che tale capacità vada allenata ed educata. In parole povere, l’Arte non ha niente a che vedere con la teoria. Abbiamo visto i tentativi naufragati della cultura woke. Il messaggio non è il fine dell’Arte. La sfida dell’essere umano contemporaneo è tornare a percepirsi soggetto. Disabituati e non allenati all’estetica, troppo spesso diciamo “non ho capito il film”, “qual è il messaggio?” e anche a tavola “non capisco niente di vini”. Mente e cuore sono disallineati. Sbilanciandoci più sulla prima, abbiamo completamente perso la capacità che ci rende esseri umani: sentire. Per il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, l’Arte è un prolungamento della percezione incarnata, non la si capisce, la si incontra. Da Stanislavskij a Grotowski, la presenza e il corpo dell’attore costituiscono il cuore della rappresentazione. La tendenza attuale di imporre la ragione sull’Arte non andrà migliorando. Con l’avvento dell’Intelligenza artificiale quale posto occuperà l’essere umano? La rabbia e la paura nei confronti di una tecnologia che cambierà sensibilmente le vite di tutti esiste perché ci percepiamo sul suo stesso piano, quello del fare, del capire. Il Teatro insegna che non esiste un solo modo di fare. Non esiste un solo modo di capire. Ogni attore col suo sentire, interpreta differentemente lo stesso ruolo. Cosa succederà se lasciamo all’IA anche la capacità di sostituirsi al nostro sentire? Questa sarà la sfida del secolo. Ritornare all’essere. Essere umano.
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