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Maxi-blitz al carcere “La Dogaia” di Prato

Impiegati 800 uomini e 11 cani antidroga, mezzi anti-spurgo per individuare telefoni nascosti.

di Redazione -


Una massiccia operazione è stata condotta all’istituto penitenziario “La Dogaia” di Prato. Un contingente di circa 800 agenti e militari della Polizia Penitenziaria (con Nucleo Investigativo Centrale, nuclei regionali e Gom), della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri, provenienti non soltanto da Prato e dalla Toscana ma anche da altri territori ha dato esecuzione al decreto di perquisizione e sequestro disposto dalla Procura diretta da Luca Tescaroli. Interessata l’intera struttura. Sono stati impiegati 11 cani antidroga, mezzi anti-spurgo per individuare telefoni nascosti negli scarichi e una vasta cintura di sicurezza esterna predisposta dal Prefetto, con oltre 60 agenti del Reparto Mobile e della Polizia Penitenziaria.

Permeata la quotidianità del carcere di Prato

L’intervento, definito dal procuratore Tescaroli “straordinario per dimensioni e necessità”, rientra in un’indagine che sta facendo emergere un sistema criminale esteso, ramificato e frammentato, “capace di permeare la quotidianità della struttura carceraria nonostante i precedenti interventi repressivi”. Il decreto ha riguardato 564 detenuti, dei quali 29 sono attualmente indagati per un ampio ventaglio di reati: estorsione, violenza privata, traffico di stupefacenti, introduzione illecita di telefoni in carcere, detenzione e porto di armi improprie.

Le condotte illecite si sono allargate anche ad altre aree

Le condotte illecite, inizialmente circoscritte ad alcune aree, in particolare le sezioni quinta, sesta, ottava e decima, si sono estese anche per effetto degli spostamenti dei detenuti lavoranti, dei semiliberi e dei permessanti, oltre che delle potenziali connivenze di alcuni operatori penitenziari, in fase di verifica.

L’indagine, ha spiegato il procuratore Tescaroli in un comunicato, si confronta con un vero e proprio fenomeno criminale pulviscolare: una miriade di micro-episodi, apparentemente autonomi ma interconnessi, che insieme hanno generato un circuito illegale estremamente resistente ai normali interventi repressivi.

Il lavoro del procuratore Tescaroli

Gli inquirenti hanno ricostruito un articolato meccanismo di approvvigionamento di droga, telefoni e armi. Un capitolo a parte è costituito dalla gestione illecita dei telefoni cellulari: nelle varie sezioni risultavano attivi 17 Imei e 21 utenze telefoniche riferibili a detenuti, sebbene molti dei dispositivi non siano ancora stati ritrovati. Gli investigatori ritengono che uno di questi telefoni permetta a più reclusi di aggiornare profili TikTok direttamente dalla cella.

Cosa è emerso dal blitz

Non meno importante è il ruolo della struttura di accoglienza “Jacques Fes” di via Pistoiese, considerata dagli inquirenti una vera base logistica per l’approvvigionamento della droga destinata ai detenuti beneficiari di permessi. L’indagine ha documentato anche un clima di violenza sistematica. Numerosi detenuti sarebbero stati costretti, con minacce e aggressioni, a farsi carico del trasporto della droga dall’esterno.

Gli interventi di adeguamento non sono più rinviabili

Le investigazioni hanno evidenziato una serie di interventi considerati ormai indispensabili: installazione di telecamere aggiuntive, di reti anti-lancio su tutte le finestre per impedire la ricezione dei pacchi consegnati dai droni, di sistemi anti-drone e vigilanza armata continua per presidiare dall’esterno il perimetro aereo del carcere, di schermature per impedire la connessione a Internet o alle reti cellulari dall’interno e controlli radiologici sistematici sui detenuti permessanti. Il fenomeno, stando alla Procura, ha mostrato una capacità di adattamento sorprendente.

L’obiettivo del procuratore Luca Tescaroli è quello di ripristinare condizioni di legalità e sicurezza e affermare una presenza dello Stato “visibile, coordinata e determinata”.


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