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Tre figli strappati da un giudice: ispettori a L’Aquila?

Salvini furioso, Meloni sente Nordio. Le ambasciate dei genitori seguono i fatti

di Angelo Vitale -

La casa nel bosco a Palmoli dove vivono Nathan Trevallion e Catherine Birmingham a cui il Tribunale per i minorenni di L'Aquila ha disposto la sospensione della potestà genitoriale dei tre figli minori, fra i 6 e gli 8 anni, che vivono con loro


Il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila ha ordinato l’allontanamento dei tre figli di una coppia anglo-australiana che vive in un casolare isolato nei boschi di Palmoli in provincia di Chieti: gli ispettori valuteranno l’operato del giudice?

La faccenda diventa un caso politico e diplomatico. Le ambasciate dei due genitori seguono l’evoluzione dei fatti, la premier Giorgia Meloni ha sentito il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Da valutare l’invio di ispettori a L’Aquila per esaminare il caso dei tre figli allontanati dai giudici con un atto del giudice.

Tre fratelli strappati dal giudice ai genitori

La madre potrà essere con loro in comunità, i bambini sono stati portati via per “rischio sociale” e “isolamento”. Non reati da punire ma comunque un colpo durissimo ad una scelta di vita legittima e a uno stile di vita diversa da quella usuale frequentemente insidiata – lo ripetiamo tutti ogni giorno – da rischi e pericoli di ogni genere, specie ai danni dei minori.

La scelta educativa della famiglia – un mix di unschooling e istruzione parentale – è legittima in Italia. Secondo il ministero dell’Istruzione, i genitori devono dichiarare ogni anno le proprie capacità tecniche ed economiche, e i figli devono sostenere un esame statale per verificare l’idoneità dello studio.
Secondo la Fondazione Libera Schola, pratica tutelata dalla Costituzione all’articolo 30. Nel caso specifico, il tribunale non contesta tanto la mancanza di istruzione, quanto la “vita di relazione” e ha giudicato l’isolamento dei minori rispetto ad altri bambini. I giudici temono “effetti significativi sullo sviluppo psichico ed educativo” dovuti all’assenza di relazioni sociali.

Una linea di confine: decide solo un giudice…

Una linea di confine, non solo nella valutazione della questione educativa. Lo Stato interviene non perché i genitori abbiano violato la legge scolastica, ma perché valuta che il loro progetto di vita metta a rischio la crescita psicologica ed educativa dei figli. E poi le condizioni materiali della casa nei boschi sono state valutate come “non agibili”, senza impianti elettrici, idrici e il bagno.

Un ragionamento di protezione. Perciò le forze dell’ordine hanno eseguito l’ordinanza insieme agli assistenti sociali. I difensori della famiglia, però, parlano di “false affermazioni” nel decreto. E l’avvocato Giovanni Angelucci promette ricorso. Sostiene che il tribunale abbia dato troppa importanza alla mancanza di una “certificazione ministeriale” per un titolo scolastico, quando secondo i genitori il certificato esiste ed è regolarmente registrato.

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Salvini furioso

Il caso ha provocato una reazione furiosa da parte del vicepremier Matteo Salvini che accusa lo Stato di intromettersi in modo inaccettabile nella libertà educativa. Mentre nella Lega c’è chi ha aggiunto polemicamente che un intervento simile non sarebbe avvenuto se i bambini fossero stati rom, evocando il tema delle disuguaglianze sociali continuamente trascurate o irrisolte dalle istituzioni in quei luoghi.

A monte del clamore polemico, un paradosso. Catherine Birmingham, australiana di 45 anni, e Nathan Trevallion, britannico di 51, hanno deciso di crescere i loro figli – i gemelli Galorian e Bluebell e Utopia Rose, di 8 e 6 anni – immersi nella natura. Hanno scelto l’Italia come loro casa e i boschi della provincia di Chieti come luogo in cui vivere. Il loro, non un habitat di disagio. Lei, di famiglia ricca, ha promosso questa scelta dopo aver verificato in giro per il mondo quanto e come alcune comunità tribali crescano i bambini in modo molto più “rispettoso” e umano di quanto qualsiasi società occidentale moderna possa mai riuscire a fare. L’Italia, con l’azione del tribunale dice loro no.

L’educazione “diversa” nel mirino di un giudice: arriveranno gli ispettori?

Il fatto si inserisce in un dibattito molto più ampio. L’istruzione parentale in Italia non è marginale, triplicata negli ultimi anni secondo alcuni dati. Ma sembra non “compresa”. L’Associazione Laif due anni fa segnalava che la Corte di Cassazione ha dovuto chiarire alcuni limiti tra libertà educativa e controllo sociale: in un caso il tribunale aveva imposto agli homeschooler l’esame di idoneità, il monitoraggio da parte di assistenti sociali o l’iscrizione a scuola. Non isolato, il caso dei tre figli strappati da un giudice ai genitori: lo valuteranno gli ispettori del ministero?

La vicenda non appare derubricabile ad un caso isolato di “famiglia alternativa”. Appare, infatti, come una possibile ferita aperta nel sistema italiano tra libertà educativa, protezione dei minori e potere dello Stato.

Da una parte, la filosofia di vita di chi sceglie un percorso radicale, dall’altra la preoccupazione istituzionale per il rischio di isolamento e danno psicologico. Un vicolo stretto, tra il diritto alla differenza e il dovere dello Stato di garantire la sicurezza dei minori.

Un dibattito non accademico: politico, giuridico e profondamente umano. Lo Stato che deve proteggere, per mano di un giudice fallibile come tanti suoi colleghi, diventato Stato che valuta, misura e decide chi e come può crescere “diversamente”.


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