I numeri choc del Rapporto Svimez: al Sud il lavoro è povero, i ragazzi vanno altrove
Il Sud cresce più del Nord, l’occupazione viaggia spedita ma i giovani continuano a scappare dal Mezzogiorno. Ieri mattina è stato presentato il Report Svimez sullo stato di salute del Paese e, in particolare, del Sud. I numeri, finché il Pnrr continua, reggono. E trascinano verso l’alto le percentuali di nuovi occupati. Epperò succede che i giovani preferiscano, nonostante ciò, andare via appena se ne palesi l’opportunità. E ciò accade perché, troppo spesso, il Mezzogiorno resta incatenato ai suoi vizi atavici.
Giovani e Sud, un paradosso
Uno su tutti. Quello di non offrire adeguate possibilità né di lavoro né di carriera a chi ha studiato per maturare competenze che, evidentemente, altrove vengono valorizzate (e pagate) meglio. I numeri, a riguardo, non mentono. Negli ultimi tre anni, il tasso di occupazione giovanile è cresciuto più velocemente al Sud che al Nord. Certo, il divario resta ed è ampio dal momento che nel Mezzogiorno ha un lavoro un under 35 su due (51,3%) e al Nord invece hanno un impiego almeno due giovani su tre (77,7%). È vero che, nel triennio che va dal 2021 al 2024, si sono creati ben 100mila nuovi posti per gli under 35 del Sud. Ma, mentre si creava lavoro per 100mila, erano ben 175mila i ragazzi che, con in tasca una laurea o un diploma, scappavano al Nord o all’estero. Il paradosso, dunque. Che determina effetti potenzialmente letali per il Mezzogiorno.
Il Mezzogiorno a rischio spopolamento
Se la popolazione giovane e più “dotata” scappa via, al Sud non rimarrà più nessuno. E pure il lavoro che si crea non sarà mai abbastanza qualificato. E, perciò, il rischio è che i salari dei cittadini che rimarranno nel Mezzogiorno si inchioderanno ancora di più verso il basso. Circostanza, questa, confortata dai numeri: 1,2 milioni di lavoratori “poveri” italiani risiede al Sud. Desertificazione economica e spopolamento, da un lato. Dall’altro la beffa della trappola del “capitale umano”. Istruire i ragazzi ha un costo. E formali per vederli scappare rappresenta una perdita secca per il Sistema Sud pari a 8 miliardi di euro l’anno. Un costo insostenibile.
La crescita del Sud, il ruzzolone del Nord
Questa è l’altra faccia della medaglia. Di un’economia, quella meridionale, che continua a crescere più di ogni area del Paese. Il Mezzogiorno cresce dello 0,7% quest’anno e continuerà a farlo, nella misura dello 0,9%, nel 2026. Il Centro Nord, invece, rimane inchiodato a tassi di crescita più lenti: rispettivamente più 0,5% per il 2025 e +0,6% per l’anno che verrà. Ma c’è poco da lasciarsi andare all’entusiasmo. Ciò accade perché al Sud ci sono gli investimenti rilevanti del Pnrr e, soprattutto, perché è in crisi il modello export-led del Nord. Con l’energia alle stelle e la stagnazione (per non dire recessione…) dell’economia tedesca, le cose vanno malino anche in quel pezzo d’Italia più sviluppato e ricco.
Cosa fare dopo il Pnrr?
La domanda, dunque, è sempre quella. Che fare? Le idee devono arrivare, subito, perché il Pnrr sta per finire. E, soprattutto, perché gran parte dei fondi corrisposti all’Italia dall’Europa dovranno essere restituiti, trattandosi di un prestito (per la gran parte) e non di una manovra da helicopter money come è stata raccontata (male) per troppo tempo. Una soluzione c’è ed è ambiziosa: garantire, dicono da Svimez, il “right to stay”, il diritto a restare. Un traguardo alto per l’ultima chiamata al Sud.