Freno al ddl sullo stupro, sfuma la “rivoluzione culturale”
Le accuse delle opposizioni, le spiegazioni della Lega, l'irritazione di Palazzo Chigi
Il ddl sullo stupro che avrebbe trasformato in reato ogni atto sessuale privo di “consenso libero e attuale” resta bloccato: è sfumata l’attesa “rivoluzione culturale”.
La Lega frena, rinviato il ddl sullo stupro
A frenare, la Lega che spinge per una rivisitazione del testo. Il tentativo di approvarlo lo scorso 25 novembre — giornata simbolica, quella della lotta alla violenza sulle donne — è naufragato: brucia la “rivoluzione culturale” evaporata in poche ore.
Uno per tutti, nelle opposizioni, il 5Stelle Stefano Patuanelli parla di “teatrino surreale”. Secondo lui, la presidente della Commissione Giustizia, Giulia Bongiorno, avrebbe ammesso che — insieme alla premier Giorgia Meloni — neppure l’altra grande protagonista dell’accordo, Elly Schlein, avesse letto il testo: “Abbiamo assistito ad annunci roboanti per una settimana — dice Patuanelli — per poi arrivare a questo”.
Un’accusa che suona come una miccia: l’opposizione insiste. Si poteva definire bene fin da subito la norma, magari evitando ambiguità e spazi interpretativi. Così, non ci sarebbe stata la corsa mediatica, il patto fra opposti e quel momento propagandistico — con il 25 novembre scelto come possibile data simbolica di approvazione — per poi arrivare ad un rinvio dell’ultimo minuto.
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Salvini e Bongiorno spiegano
Matteo Salvini difende la decisione di rinviare: il testo “lascia troppo spazio alla libera interpretazione del singolo”. E solleva un tema pesante: il rischio di “vendette personali”, di contenziosi, “in centinaia di migliaia” intaserebbero i tribunali senza che ci sia stato alcun abuso reale. Una norma troppo vaga,: non ridurrebbe le violenze ma genererebbe conflitti. In questa visione, il problema non è il principio — il consenso come base della sessualità legittima — ma la struttura giuridica: definizioni generiche, formule che possono essere interpretate in modo soggettivo, margini troppo ampi. Per chi teme un uso distorto delle denunce, una norma a rischio di tradursi in una leva per lotte private. Dunque, da rivedere in profondità.
Giulia Bongiorno prova a spegnere le polemiche – anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio parla di un rinvio “tecnico” -. Non è un rinvio pretestuoso: il testo andrà riscritto con cura, le audizioni potranno essere concluse in tempi rapidi. La norma, garantisce, sarà pronta in commissione già a gennaio, l’approdo in Aula al Senato ipotizzato per febbraio.
Irritazione a Palazzo Chigi
Fonti interne alla maggioranza accennano a irritazione — o forse a imbarazzo — per un testo che ha mostrato da subito criticità tecniche rilevanti, peraltro evidenziate dalla Lega. Il risultato è uno stallo. Le opposizioni gridano allo spreco: annuncio, consenso mediatico, unanimità in Commissione, infine un dietrofront con l’impressione di un’occasione buttata via. Bisognava lavorarci prima. Ora il ddl sul consenso rischia di rimanere imbrigliato nella lunga attesa delle audizioni, delle interpretazioni tecniche, dei compromessi. In attesa che qualcuno — finalmente — lo riscriva meglio.
Dopo il tempo trascorso finora, la richiesta di riscrittura registra che la fiducia nell’accordo iniziale tra Meloni e Schlein si è incrinata. Con nuove divergenze su singoli commi, definizioni o applicazioni giuridiche, il ddl rischierebbe di diventare oggetto di rinegoziazioni politiche. Ogni modifica richiederebbe nuovi passaggi, correzioni e ricalibri. E le scintille fra alleati potrebbero complicare e rallentare l’iter.
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