“Sono più importanti le premesse delle conclusioni” ha detto il legale di Andrea Sempio Liborio Cataliotti. E difatti sembrerebbe essere proprio così. Perché di fronte alla perizia depositata dalla genetista Denise Albani e dai dattiloscopisti Domenico Marchigiani e Giovanni Di Censo – nominati dalla gip di Pavia Daniela Garlaschelli nell’ambito dell’incidente probatorio per le nuove indagini sul caso Garlasco – vi sono più dubbi che certezze.
Cosa dice la perizia di Albani su Sempio
Gli elementi forniti dagli esperti riguardano alcune tracce genetiche rilevate sotto le unghie di Chiara Poggi, uccisa nella sua casa di via Pascoli il 13 agosto 2007. Dalle analisi emerge che il profilo genetico rinvenuto risulta compatibile con la linea genetica maschile della famiglia Sempio. La compatibilità è definita “moderatamente forte/forte” per un’unghia e “moderata” per l’altra. Tuttavia, la stessa genetista Albani chiarisce un punto fondamentale.
L’analisi del cromosoma Y non permette di identificare un singolo soggetto, poiché quell’aplotipo può essere condiviso da più individui imparentati attraverso la linea paterna. In altre parole, il DNA è riconducibile alla famiglia Sempio, ma non consente di attribuirlo ad Andrea Sempio in modo scientificamente univoco. Tuttavia, se questa precisazione non può essere fatta dalla scienza, potrebbe entrare in gioco la logica. Perché Andrea era l’unico della famiglia (almeno lato ceppo maschile) a frequentare la casa della vittima e la vittima stessa. Mentre sia il padre di Sempio, sia il nonno – deceduto – non erano entrati in contatto con Chiara Poggi.
La genetista sottolinea inoltre le criticità strutturali delle tracce: il materiale biologico è scarso, degradato e in parte non consolidato, come già rilevato dal perito De Stefano nel 2014 durante l’appello bis nei confronti di Alberto Stasi. Alla fragilità del campione si aggiunge la carenza di un database genetico specifico per la zona di Garlasco, che limita la precisione dell’analisi biostatistica e costringe l’utilizzo di popolazioni di riferimento più ampie, come quella europea occidentale.
La perizia ribadisce poi l’impossibilità di stabilire come, quando e perché il DNA sia finito sotto o sopra le unghie della vittima. Non è possibile sapere se la traccia derivi da un contatto diretto, da un trasferimento secondario o da una contaminazione ambientale. Anche l’origine esatta (quale dito, quale mano, quale circostanza) non è determinabile. Al netto di tutti questi elementi “critici”, l’elaborato dei tecnici – secondo il ragionamento giudiziario – non contribuisce ad ascrivere all’indagato, Andrea Sempio, una responsabilità penale “ogni oltre ragionevole dubbio”.
Tuttavia, per la Procura di Pavia, il DNA rappresenta solo uno degli elementi al vaglio degli inquirenti. Insieme ad esso ci sono l’ormai nota impronta 33 trovata sul muro delle scale della villetta dei Poggi, lo scontrino del parcheggio di Vigevano per tanto tempo conservato in casa Sempio, alcune telefonate “anomale” ricevute dalla famiglia Poggi, fino ad arrivare al filone parallelo dell’inchiesta bresciana che coinvolge l’ex pm Mario Venditti, accusato di presunta corruzione per aver favorito Sempio nel 2017.
Il paradosso di Stasi
E se l’indagato respinge ogni coinvolgimento e denuncia un “accanimento”, c’è un’altra parte della storia che potrebbe essere riscritta. Perché se la perizia dice poco sulla presunta colpevolezza di Sempio, dice molto di più su chi colpevole è stato dichiarato in via definitiva. Il nuovo elaborato sulle prove genetiche è un punto fermo per la difesa di Alberto Stasi. Gli elementi emersi, difatti cristallizzano – per i difensori – “l’assenza totale del DNA di Stasi” sul corpo della vittima.
Una certezza dopo anni di precarietà e di interpretazioni divergenti che non lo avevano mai veramente escluso dalla scena del crimine. La nuova perizia, pur con tutti i suoi limiti tecnici, introduce un dato che inevitabilmente cambia la posizione di Stasi anche se non modifica la sentenza definitiva che lo ha riconosciuto colpevole sulla base di un insieme più ampio di elementi probatori, e che per la legge italiana non può essere rimessa in discussione in assenza di una revisione formale del processo.
Tuttavia, la fotografia scientifica restituita solleva una riflessione più ampia sul rapporto tra verità giudiziaria e verità forense, sulla fragilità di alcune tecniche investigative del passato e sul peso che un singolo elemento può assumere nell’immaginario collettivo. Il dato resta. Stasi sta scontando la sua condanna, mentre gli sviluppi investigativi puntano altrove per tentare di chiarire aspetti irrisolti. Soluzioni che potrebbero arrivare in aula il 18 dicembre, quando esperti e consulenti delle parti dovranno confrontarsi al termine dell’incidente probatorio.