Ambiente

Fiumi di plastica: viaggio sulle rive dell’inquinamento

di Angelo Vitale -


Fiumi di plastica. Su 12 corsi d’acqua italiani, l’85% dei rifiuti che vi finiscono, facendoli diventare vittime ricorrenti dell’abbandono indiscriminato, è costituito da plastica e in questa frazione il 35% circa degli oggetti che galleggiano nei fiumi è rappresentato da plastica monouso, gli imballaggi che l’industry italiana del settore difende a spada tratta, affiancata dal governo che finora ha contrastato l’orientamento indirizzato al riuso e al riutilizzo, preferendone il riciclo.

La verità è che – lo ricordano ora i risultati di un’attività di monitoraggio di Ispra durata 12 mesi e svolta in collaborazione con la Fondazione Sviluppo Sostenibile e Nauta – i macro rifiuti galleggianti di grandezza maggiore di 2,5 cm su 12 fiumi in Italia (Adige, Agri, Magra, Misa, Neto, Ombrone, Pescara, Po, Reno, Sarno, Simeto e Tevere) parlano di un’economia circolare che, sulla plastica recupera e ricicla meno che per altri materiali, pur evidenziando una crescita del trend, che si mantiene però al penultimo posto, prima del vetro ma dopo legno, alluminio, carta e acciaio, secondo lo stesso Rapporto Isprea sui rifiuti urbani 2022.

Le città falliscono e plastica e imballaggi monouso finiscono anche nei corsi d’acqua, che diventano “fiumi di plastica”. I fattori che influenzano la presenza dei rifiuti negli ambienti fluviali derivano da insediamenti urbani, spiega Ispra che con i monitoraggi per la Direttiva Quadro sulla Strategia Marina intende moltiplicare le conoscenze su origine e modalità di arrivo dei rifiuti nelle nostre acque, e in 8 anni di monitoraggio lo ha già fatto alla foce del Tevere. Il fiume secondo solo al Po per bacino e terzo per lunghezza, attraversa Roma prima di sfociare nel mar Tirreno a Ostia. Alla sua foce Ispra ha riscontrato negli ultimi sette anni un aumento del trend dei rifiuti. Come densità estrapolata alla foce, circa 1.500 oggetti per chilometro quadrato sul Tevere, ove gli imballaggi monouso sono circa il 40%, in gran parte relativi al loro utilizzo per il cibo.

In tutti i fiumi, la maggioranza (l’85%) degli oggetti è costituita da materiali di plastica, seguiti da quelli di carta (5%) e di metallo (3%). Rifiuti, per Ispra, collegati a produzione e consumo di alimenti. Altro ancora racconta poi come l’avvelenamento, sia in realtà più strisciante: i tracciatori rilasciati nei fiumi hanno evidenziato come lo spostamento dei frammenti sia quasi sempre intermittente, con un forte effetto di intrappolamento lungo il corso del fiume. Poi nuovamente mossi da significative variazioni di portata ma compiendo percorsi brevi, spesso trattenuti in aree di accumulo prima di giungere a mare.

Come uscirne? Franco Borgogno da tempo ha dedicato parte della sua mission di studio e ricerca alla plastic pollution. “La chiave per affrontare la questione degli imballaggi monouso di plastica – dice – è puntare all’eliminazione del concetto stesso di questa produzione. Già compresa da esperti e scienziati, già nelle norme orientate alla sostenibilità, con molta immediatezza percepibile da tutti, quando guardiamo il 20% dei rifiuti di plastica sulle spiagge o nei mari. Qui c’è da aggiungere anche che il rimanente 80% è costituto da microplastiche, meno visibile ma altrettanto inquinante. Naturale quindi, che, lavorando innanzitutto su consapevolezza e conoscenza, è possibile incidere sulle piccole abitudini quotidiane di ciascuno, che producono numeri importanti, cui da qualche tempo è sensibile anche una parte del mondo dell’industria. Questa, la prima strada da percorrere”.


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