PRIMA PAGINA – Gaza e noi. Ecco perché litighiamo sul Medioriente
Secondo i media egiziani, i negoziati per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a Gaza sono ripresi al Cairo. Alti funzionari di Stati Uniti, Israele, Egitto e Qatar si stanno incontrando mentre Israele affronta la forte pressione internazionale per fermare i bombardamenti della città di Rafah, a sud della Striscia. Circa 1,5 milioni di persone sono stipate in questa piccola città di confine (ultima zona “sicura” rimasta per i civili palestinesi) nel timore di un’invasione israeliana. La scorsa settimana Bibi Netanyahu ha respinto come “deliranti” le proposte di cessate il fuoco di Hamas, poco prima di ordinare alle proprie truppe di prepararsi a espandere le operazioni di terra a Rafah per sconfiggere i miliziani nemici lì nascosti. Sia il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, hanno chiesto che ciò non accada e che i civili nell’area vengano protetti.
Sembra che, proprio per via di questo inedito pressing da parte degli Usa, il primo ministro israeliano abbia inviato il suo capo dell’intelligence, David Barnea, ai colloqui.
Insieme a lui anche il capo della Central Intelligence Agency degli Stati Uniti William Burns, il funzionario dell’intelligence egiziana e il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani. Il Qatar e l’Egitto, con il sostegno americano, hanno fatto avanti e indietro tra Israele e Hamas per cercare di coadiuvare l’ accordo. Sul tavolo delle trattative una tregua temporanea (probabilmente di sei settimane) che prevede un periodo di calma e il rilascio di ostaggi ebrei in cambio di prigionieri palestinesi.
Israele sostiene che, dei 253 civili catturati da Hamas durante gli attacchi del 7 ottobre nel sud del Paese, 130 sono ancora dispersi. Diversi ostaggi sono stati rilasciati – tra cui, di recente, due uomini israeloargentini – ma alcuni sono morti. In quel terribile giorno di inizio autunno almeno 1.200 persone sono state uccise dal gruppo terroristico. Israele ha risposto lanciando dure operazioni militari nella Striscia di Gaza, operazioni che, secondo il ministero della Sanità gestito da Hamas, nel corso di oltre tre mesi di guerra hanno ferito 68.000 palestinesi e ne hanno uccisi 28.473.
Al momento, più della metà dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza è stipata a Rafah, cittadina che, prima della guerra, contava appena 250.000 abitanti. Molti degli sfollati vivono in condizioni di precarietà igienica, in rifugi di fortuna o tende, con scarso accesso all’acqua potabile e alle risorse alimentari.
Oltre agli Stati Uniti, un certo numero di Paesi occidentali e organizzazioni internazionali hanno cercato di dissuadere Israele dal lanciare la sua offensiva pianificata.
Lunedì il ministro degli Esteri britannico David Cameron ha detto che lo Stato ebraico dovrebbe “fermarsi e pensare seriamente” prima di intraprendere ulteriori azioni nella città. Il capo della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, ha esortato gli alleati di Israele a smettere di inviare armi, poiché “troppe persone” stanno morendo a Gaza. Allo stesso modo, il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ammesso ufficialmente che, arrivati a questo punto, “la reazione di Israele è sproporzionata, ci sono troppe vittime che non hanno nulla a che fare con Hamas” e ha chiesto al Governo di Tel Aviv di “evitare rappresaglie contro la popolazione civile palestinese”.
Nel frattempo, alla Camera è passato il punto della mozione Pd, firmata Elly Schlein, che chiede un immediato cessate il fuoco in Medio Oriente. La mozione impegna il Governo a “sostenere ogni iniziativa volta a perseguire la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani e a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza al fine di tutelare l’incolumità della popolazione civile di Gaza, garantendo altresì la fornitura di aiuti umanitari continui, rapidi e sicuri all’interno della Striscia”.
Torna alle notizie in home