Esteri

Abdulhadi Lahweej: “L’Italia non ha capito che il Paese è diviso Il vero governo è a Sirte”

di Redazione -


 

di VITO PETROCELLI
Nella giornata odierna la premier Giorgia Meloni è arrivata in Libia con una delegazione di altissimo profilo. Per la prima volta dal 2011, però, si è fermata solo a Tripoli, incontrando solo la parte politica riconosciuta dalla “Comunità internazionale” e tenuta in piedi dalle milizie armate. Non sono previsti incontri con il governo libico che ha sede a Sirte, legittimato dal Parlamento regolarmente eletto. Abdulhadi Lahweej, presidente del Movimento Libico del Futuro oltre che ex ministro degli Esteri del governo di Bengasi, risponde volentieri alle domande su quello che ci si aspetta dalla visita ufficiale del Presidente del Consiglio. Lahweej è stato indicato dal New Africa Magazine come uno delle 100 icone africane del 2022 leader in diversi settori. È in programma una sua visita privata a Roma il 24 e 25 febbraio prossimi, per discutere di relazioni italo-libiche con esponenti di partiti, movimenti e associazioni italiane.
La premier italiana Giorgia Meloni è in Libia per incontrare le autorità di Tripoli. Pensi che ci saranno cambiamenti da parte del nuovo governo italiano nella linea politica e nelle relazioni tra i due Paesi?
“Il governo italiano continua a commettere gli stessi errori e non considera né comprende la realtà libica come è realmente.
Non comprende che viviamo da anni in uno stato di divisione a tutti i livelli. Da una parte c’è il governo di Tripoli, che chiamo così perché praticamente estende il suo controllo solo sulla capitale, Tripoli, in coordinamento con i gruppi armati lì presenti. Dall’altra parte c’è il governo libico, che ha sede nella città di Sirte ed è presente in più di due terzi del Paese: al Centro, all’Ovest, ad Est e al Sud. Un governo guidato da un libico, che ha il consenso della Camera dei Rappresentanti e del Consiglio di Stato e che opera anche dalla capitale Tripoli”.
Quali potrebbero essere i temi del dialogo bilaterale, seppure solo con una parte delle istituzioni libiche?
“Oltre alle sfide che l’Italia deve affrontare, che vanno dall’immigrazione al dossier terrorismo, fino ai temi della ricostruzione e dello sviluppo, a Tripoli la premier non troverà vere soluzioni, perché l’agenda del governo tripolitano è diversa da quella del governo italiano, e soprattutto perché il governo di Tripoli è legato nel coordinamento e nei programmi alla Turchia”.
Quindi ci sono differenze rilevanti tra le agende politiche del governo di Tripoli e quello che rappresenta due terzi del Paese, che tu hai chiamato “governo libico”?
“Per quanto riguarda il capitolo immigrazione è bene sapere che quando l’Italia invia denaro a Tripoli, il risultato naturale è quello di avere più migranti. Al contrario, non ci sono migranti che si imbarcano per l’Italia in un’area con oltre 1.500 chilometri di raggio, dove sono presenti il governo libico e l’Esercito nazionale libico guidato dal maresciallo Haftar. Inoltre, i temi della lotta al terrorismo e all’estremismo non sono importanti per Tripoli, mentre sono una priorità per l’altra parte della Libia, con cui il governo italiano purtroppo non dialoga”.
Quali opportunità avrebbe l’Italia a dialogare con questa parte del Paese, nella quale tu vivi e che rappresenti politicamente?
“Le opportunità nello sviluppo, nella stabilità e negli investimenti sarebbero molto maggiori per l’Italia ripristinando un dialogo vero con il legittimo governo libico. Soprattutto per quanto riguarda la portata della ricostruzione dopo la guerra all’ISIS. È importante sottolineare che la Camera dei rappresentanti ha approvato nel bilancio del governo libico l’investimento di 6 miliardi di dinari per le opere di ricostruzione per l’anno 2023; questo indica, al di là di ogni dubbio, il volume dei progetti di ricostruzione e sviluppo nella fase attuale”.
Il nuovo governo italiano è come i precedenti, se non peggio. Meloni tiene il rapporto con Tripoli e nella sua visita non intende incontrare l’altra parte della Libia, quella più significativa. Che cosa chiede questa parte del Paese al premier italiano?
“Chiediamo alle imprese italiane di venire a lavorare, di contribuire e investire in tutte le città distrutte dalla guerra con l’ISIS. Chiediamo di ripristinare il più possibile l’interscambio commerciale tra i due Paesi, che è molto diminuito a causa della politica seguita oggi dall’Italia. L’Italia purtroppo non è più l’attore principale in Libia, nonostante la storia e l’entità delle relazioni tra i due Paesi. L’invito è rivolto ancora una volta al risveglio dell’Italia, perché apra gli occhi su tutta la Libia, non solo su Tripoli. L’Italia ha ancora la possibilità di essere un attore positivo nella risoluzione della crisi libica, e magari nel promuovere un dialogo libico-libico. E questa è l’unica possibilità per non essere nelle ultime file della cabina passeggeri dell’aereo libico pronto a decollare”.

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