Esteri

Alegi: “Il silenzio di Sleepy Joe e quell’ombra su suo figlio”

di Edoardo Sirignano -


di EDOARDO SIRIGNANO

“Dopo l’arresto Trump rafforza la base repubblicana e probabilmente vincerà le primarie, ma rischia di perdere quei moderati indispensabili per spuntarla sui democratici e ritornare alla Casa Bianca”. A dirlo Gregory Alegi, docente di storia americana all’università Luiss.

Qualcuno sostiene che l’arresto di Donald sia una farsa. È d’accordo?

Per niente. Si tratta di una procedura che va avanti da due anni e mezzo e si è conclusa. L’arresto, nel sistema americano, corrisponde e coincide col rinvio a giudizio. Se in Italia la gente viene arrestata liberamente durante le indagini per farla confessare, per premere, negli Usa ciò non avviene. Quando, però, c’è una formalizzazione delle accuse scatta il pericolo di fuga e di inquinamento. Stiamo parlando di un qualcosa, a quelle latitudini, di normale. Da noi Trump sarebbe stato in galera già dalla mattina dopo l’apertura delle indagini.

Trump è ancora in corsa per le primarie e il ritorno alla Casa Bianca?

Tutti i sondaggi lo danno in testa alle candidature repubblicane. Non c’è confronto. Il vero dubbio, a questo punto, pertanto, non è se vincerà o meno le primarie, ma come si troverà contro il candidato democratico.

Perché?

La vicenda giudiziaria lo rinforza agli occhi dei repubblicani e lo indebolisce davanti a quelli di tutti gli americani. Donald, questa volta, rischia di arrivare con una base repubblicana forte e motivata, ma di perdere moderati e incerti. Siamo, comunque, ancora alle prime battute e tutto può cambiare.

La strategia del “vittimismo” spesso nella storia a stelle e strisce ha premiato chi l’ha utilizzata. Succederà ancora?

Faccio fatica a farmi venire in mente esempi in tal senso. Negli Stati Uniti di solito vince chi ha un’idea positiva e forte.

Dall’altra parte della barricata, invece, la leadership di Biden è indiscussa?

I partiti di governo solitamente ricandidano il presidente, salvo che non abbia già raggiunto i due mandati. Altrimenti si rischia di condannare la linea politica che fino al giorno prima si è sostenuta. Ci sono stati casi, invece, in cui i presidenti hanno rinunciato a correre. Penso a Johnson nel 1968 che prese su di sé il peso morale del Vietnam. Episodi, però, in cui venga sconfessato chi è in carica non mi risultano. Bisogna tenere presente, poi, che negli Usa lo stesso giorno si vota sia per il rinnovo dell’intera Camera che per un alto numero di cariche elettive, come i governatori. Chi sconfessa una linea, pertanto, rischia di perdere su tutto il fronte e ciò è un qualcosa che nessuno può concedersi. Non c’è altra scelta che ricandidare Biden.

Chi sarà, pertanto, il favorito? Il candidato repubblicano?

I repubblicani, che si sono presentati sempre come partito rispettoso della legge, a seguito di questa vicenda, potrebbero perdere dei punti tra il cosiddetto elettorato indeciso. Gareggiare con chi ha problemi con la giustizia o meglio ancora un comportamento abbastanza leggero a riguardo, potrebbe rappresentare, senza ombra di dubbio, una minaccia.

Per i democratici il giustizialismo, invece, potrebbe essere un boomerang?

Hanno la sfida di far rispettare la legge, senza farne un caso personale. Non a caso Biden sta zitto sul tema, non apre bocca, non gioisce. Considerando i problemi che ha col figlio, qualsiasi cosa dovesse dire corre il rischio che gli sia rinfacciata.

Tutta la vicenda americana potrà avere ripercussioni anche in Italia?

L’Italia, come l’Europa, deve fare i conti con gli Stati Uniti e la politica americana chiunque sia il presidente. Se qualcuno vuole legarsi a Trump nel senso di sfidare la legge, sponsorizzare comportamenti violenti, mettere in discussione il risultato delle elezioni, lo fa a suo rischio e pericolo.

Un’eventuale vittoria di Trump potrebbe favorire la nascita di un partito più a destra di Meloni, considerando che la premier negli ultimi tempi è stata più di una semplice alleata per Biden?

Nel nostro Paese i partiti non producono idee da anni. Ogni volta che vince qualcuno all’estero, diciamo siamo come Biden, Sarkozy, Blair o chicchessia. Sarebbe utile che ci distinguessimo per delle proposte nostre, anziché scimmiottare quel poco che capiamo da quelle degli altri.


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