Attualità

Alex Marangon, un anno di misteri e indagini che escludono l’omicidio

Ancora tinta di giallo la storia del barman 25enne che era stato ritrovato morto il 30 giugno 2024

di Ivano Tolettini -


Un anno è passato, ma le domande sono rimaste tutte lì, inchiodate al punto esatto in cui il corpo di Alex Marangon è stato trovato. Nudo, esanime, accasciato sul greto del Piave dopo essere caduto dal terrapieno dell’antica abbazia benedettina di Vidor, dove il 25enne di Marcon aveva partecipato a un ritiro spirituale di tre giorni organizzato da Andrea Zuin e la compagna Tatiana Marchetto. Era il 30 giugno del 2024. Da allora, nessuna verità giudiziaria, nessun colpevole, nessun indagato.

Solo dolore. E un velo di mistero che continua ad avvolgere la morte di questo giovane barman dal sorriso contagioso, che quella sera – secondo il referto – sarebbe deceduto per una “caduta traumatica” con conseguente emorragia interna. Ma nessuno ha visto, nessuno ha saputo spiegare. Solo una successione di ipotesi, interrogativi e silenzi.

I familiari non si arrendono. Lo ripetono da mesi: “Alex non si sarebbe mai messo in pericolo da solo. Se ha fatto qualcosa di inconsueto, dev’essere stato indotto”. La madre, il padre e la sorella continuano a chiedere verità. Hanno percorso tutte le strade: chiesto il sequestro del cellulare, sollecitato una consulenza medico-legale indipendente, spinto perché si facesse luce su ogni minimo dettaglio. La relazione conclusiva dell’anatomo patologo Alberto Furlanetto spiega che ad uccidere il ragazzo è stata una caduta da una quindicina di metri.

Alex aveva prenotato quel ritiro tramite una pagina Instagram. Nei giorni precedenti aveva confidato ad amici e familiari di voler fare un’esperienza di “connessione profonda”. La proposta era quella di un “viaggio spirituale” ispirato a rituali sciamanici sudamericani, tra meditazioni, silenzi e – secondo alcune testimonianze – forse anche l’assunzione di ayahuasca, un decotto a base di piante amazzoniche capace di alterare la coscienza. Un rito privato, senza supervisione medica, senza autorizzazioni ufficiali. Iniziato venerdì e terminato domenica. Gli investigatori tendono ad escludere che si sia trattato comunque di un suicidio.

Ancora giallo un anno dopo la morte di Alex Marangon: cosa è successo?

E allora cos’è successo? Il corpo senza vita di Alex è stato trovato un paio di giorni dopo la fine dell’evento. Qualcuno racconta di averlo visto camminare scalzo nella notte, parlare da solo, agitarsi. Era solo, riferiscono. Ma il cellulare, curiosamente, è stato ritrovato all’interno di una stanza dell’abbazia dove Alex, secondo gli organizzatori, non risultava più registrato. Un dettaglio che ha sollevato nuove domande. E che alimenta i dubbi. Sulla sua tomba, a Marcon, non ci sono solo fiori: ci sono lettere, pensieri scritti a mano, ricordi e biglietti dei suoi viaggi. Come se qualcuno sapesse. Come se quella fine fosse stata l’ultima tappa di qualcosa di molto più grande.

L’ultima telefonata, la sera prima della morte, è stata alla madre. “Sto bene, ci sentiamo domani.” Ma domani non ci sarebbe stato. L’ex Procuratore capo di Treviso, Marco Martani, andato in pensione un mese fa, dopo il deposito dell’esito dell’autopsia ha detto che “arrivati a questo punto delle indagini l’ipotesi dell’omicidio sembra sempre più inconsistente”. Il ritiro spirituale, formalmente, non aveva alcuna connotazione ufficiale né sanitaria. Eppure si è svolto in un luogo storico, con una ventina di partecipanti.

L’avvocato Cesare Dal Maso, legale del proprietario dell’abbazia di Vidor, invita anche a leggere con attenzione gli elementi raccolti finora dagli investigatori: “Dai riscontri oggettivi finora emersi – spiega – non risulta alcuna aggressione. Il corpo non presentava segni riconducibili a una colluttazione o a un’aggressione violenta. Le escoriazioni rilevate sono compatibili con una caduta accidentale dall’alto su un terreno irregolare.” Dal Maso sottolinea anche un altro aspetto importante: “Da parte del proprietario dell’abbazia c’è sempre stata la massima collaborazione con le autorità e con i familiari. Non c’è mai stata né reticenza né ostruzionismo.”

Eppure, al di là degli elementi oggettivi, resta una percezione diffusa di qualcosa che non torna. All’esperienza mistica erano presenti anche i “curanderos” colombiani Sebastian Castillo e Jhonny Benavides che sono stati ascoltati su delega degli inquirenti e che hanno respinto ogni sospetto di illiceità. Come è stato possibile che un ragazzo, ospite di un evento spirituale, sia morto a pochi metri da tutti, senza che nessuno se ne accorgesse?

I familiari hanno raccolto testimonianze, parlato con chi era presente, mostrato le foto del corpo: c’erano graffi, segni sulle braccia, escoriazioni. E continuano a chiedere: “Perché Alex è morto? E perché nessuno si è assunto la responsabilità di spiegarlo?” Attorno all’abbazia, oggi, tutto appare immobile. Il cancello è chiuso. I volantini del ritiro non esistono più. Le pagine social sono sparite. Le tracce si sono dissolte. Ma il luogo resta. Come un’eco. Come una presenza che non smette di interrogare. Alex, con la sua vita interrotta a metà, resta anche lui. Nelle foto, negli occhi dei genitori Luca e Sabrina Marangon, nei pensieri lasciati sul suo profilo social, c’è tanta inquietudine. Resta anche nelle parole affisse davanti al Tribunale: “Guardiamoci alle spalle: gli assassini sono liberi tra di noi.” Una scritta che pesa, anche se gli inquirenti ribadiscono che il ragazzo non sarebbe stato ucciso. Come un grido che non trova pace. Come un’ombra che non si dissolve. Come una domanda, ancora lì, inchiodata al punto esatto in cui Alex è caduto.


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