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Altro che “patto d’acciaio” Ilva, ora è tutti contro tutti i sindacati: basta, sciopero

di Cristiana Flaminio -

PROTESTA DEI LAVORATORI EX ILVA/ARCELORMITTAL TARANTO AL MISE MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO MANIFESTAZIONE BANDIERE UILM FIOM FUMOGENI ARCELOR MITTAL


Cosa (non) fatta, capo ha. Acciaierie d’Italia ha disertato l’incontro in programma al ministero del Made in Italy sul destino dell’ex Ilva di Taranto. I dirigenti dell’azienda presieduta da Franco Bernabé non si sono presentati all’appuntamento e non hanno rilasciato nessun commento. La mossa, anzi la “non mossa”, ha innescato una serie di reazioni che hanno fatto chiarezza sugli schieramenti di forze in campo e sugli obiettivi di ognuno degli attori protagonisti del dossier tra i più complicati, e delicati, dell’economia italiana. Il tema sta tutto nella “nazionalizzazione”, nei tempi e nei modi dell’ingresso dello Stato all’interno della governance dell’impianto produttivo tarantino. L’assenza ha esarcebato gli animi delle parti sociali e i sindacati hanno immediatamente proclamato uno sciopero mentre il ministro Adolfo Urso, pur confermando la volontà del governo di entrare nella partita e di farlo da protagonista, rivendica proprio all’esecutivo la scelta dei tempi e dei modi.
Scioperi e proteste. La notizia che l’azienda non s’era presentata all’incontro, facendo così saltare il tavolo, ha raggiunto Taranto con la velocità del clic. I sindacati hanno reagito proclamando, da subito, quattro ore di sciopero per la giornata di lunedì. Incroceranno le braccia gli operai di tutti gli stabilimenti d’Italia. Intanto due dipendenti, rappresentanti Ris-Rsu dell’Unione sindacale di base, avevano già scalato una torre faro a Taranto e lì hanno srotolato uno striscione di protesta contro le decisioni di Acciaierie d’Italia sulla sospensione degli appalti a 145 ditte dell’indotto. Rischiano il lavoro ben duemila persone. Che sono pronte a tutto, specialmente in un periodo durissimo come l’attuale, a tentare il tutto per tutto pur di garantirsi un futuro. Per adesso si inizia con quattro ore di sciopero. Poi, chissà.
I sindacati sono infuriati. La Fiom ha preso di petto la questione. Il segretario Michele De Palma ha tuonato: “L’azienda oggi era assente non ha avuto neanche il coraggio di presentarsi al tavolo per confrontarsi e a negoziare con governo e sindacati . Noi pensiamo che sia necessario scioperare per fermare l’eutanasia dell’ex Gruppo Ilva”. Quindi ha messo sul piatto la questione più rilevante: “È necessario che Acciaierie d’Italia torni nelle mani dello Stato e si torni a ricontrattare con i sindacati il rilancio del lavoro, la tutela dell’occupazione, la tutela e la sicurezza del lavoro e l’ambientalizzazione della produzione”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Uilm che, con il segretario Rocco Palombella ha già annunciato l’inizio della mobilitazione dei lavoratori del plesso produttivo di Taranto.
La delusione di Emiliano. Deluso dall’esito dell’incontro anche il governatore della Puglia Michele Emiliano che ha spiegato: “L’insieme delle cose fanno Arcelor Mittal il partner devo dire più inaffidabile che si possa immaginare per lo Stato italiano. Mi auguro che il governo attraverso l’aumento di capitale riduca il suo ruolo” Il presidente ha aggiunto: “Ovviamente mi auguro che l’azienda immediatamente revochi la sua decisione di non pagare e di rescindere i contratti con le aziende”. Una speranza che pare più simile a un’illusione, allo stato delle cose.
Un miliardo di problemi. E difatti Emiliano ha riferito di aver suggerito a Urso di “di condizionare l’eventuale versamento del miliardo che il governo Draghi ha messo a disposizione per questa vicenda ad un contributo in conto capitale, aumentando la quota azionaria in capo al governo italiano e le società che il governo controlla”. Questo, ha spiegato, “per evitare che in futuro la città di Taranto sia nella sua componente industriale nella sua componente sociale sia tra virgolette sottoposta a pressione non adopero la parola ricatto perché è troppo forte diciamo pressione però tra pressione ricatto le volte il confine labile”. La questione del miliardo è di capitale importanza. Lo stesso Franco Bernabé, ad di Acciaierie d’Italia, aveva chiesto al governo Meloni di fare presto. Servono, questi fondi, perché i costi sono aumentati a dismisura e c’è il rischio di non farcela.
Il governo non si fa tirare per la giacca. Di fronte a tante pressioni univoche, il ministro Adolfo Urso ostenta calma. E ribadisce, pur confermando l’impegno ad agire, che il governo non si farà tirare per la giacchetta. Il capitale di Acciaierie d’Italia finirà in mano pubblica, ma se ed eventualmente con i tempi che deciderà Palazzo Chigi. E, nonostante le forti richieste in tal senso, (almeno per ora) il governo non anticiperà la scalata al 60% del capitale sociale di Acciaierie. Urso ha detto: “Innanzitutto vogliamo che l’azienda rispetti l’accordo e lo Stato utilizzerà le risorse già stanziate affinché ci sia questo rispetto da parte dell’azienda in maniera tale che ci sia una prospettiva per il futuro dell’acciaieria italiana. Inizia dunque un percorso, non si può decidere tutto in pochi giorni ma dobbiamo considerare tutti i fattori al termine del quale, con Palazzo Chigi, decideremo la strada da percorrere per giungere in porto salvando questo sito pubblico”.


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