Esteri

Assange punto e a capo: slitta l’estradizione in Usa

di Martina Melli -


Julian Assange punto e a capo. Rinviata ancora la sentenza sull’estradizione negli Stati Uniti del giornalista più noto al mondo, fondatore di Wikileaks. Rinviata a dopo il 5 marzo. Nel 2010 e nel 2011 Assange ha condiviso e diffuso video e documenti classificati della guerra in Iraq e in Afghanistan e da allora è ricercato e perseguitato dalle autorità statunitensi. Per sette anni, fino al 2019, ha vissuto all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra in qualità di rifugiato politico. Nel 2017 però, quando Lenin Moreno è diventato presidente, i rapporti con il Paese si sono incrinati fino a che nel 2019 il premier ha annunciato su Twitter la fine della protezione politica nei confronti del cittadino australiano. Da quel momento Assange è diventato un detenuto del carcere di massima sicurezza di Belmarsh, in Inghilterra.

Martedì, nel primo giorno dell’udienza sull’estradizione, i suoi avvocati hanno affermato che il caso degli Stati Uniti è una “rappresaglia di Stato” e quindi l’estradizione andrebbe contro la legge del Regno Unito. L’accusa contro Assange, di spionaggio, cospirazione e pirateria informatica ( ai sensi dell’Espionage Act del 1917) si è arricchita di una nuova sfumatura, se così si può chiamare.

Ieri, davanti all’Alta Corte, il team legale Usa infatti ha dichiarato che il giornalista ha incoraggiato Chelsea Manning, un’analista dell’Intelligence statunitense, a ottenere circa 400.000 rapporti sulle attività relative alla guerra in Iraq e 250.000 cablogrammi del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, mettendo in grave pericolo decine di fonti di cui sono stati rivelati i nomi completi. I due giudici, Dame Victoria Sharp e Mr Justice Johnson, hanno rimandato la decisione sul diritto di Assange di ricorrere o meno in appello alla sentenza di estradizione negli Usa a dopo il 5 marzo. Se la futura sentenza respingerà questo diritto, nel giro di poche settimane un aereo lo riporterà in Usa per condannarlo all’ergastolo davanti a un tribunale americano.

Il secondo e conclusivo giorno di udienza è stato accolto con grande tensione e fermento da spettatori in tutto il mondo, da una folla di sostenitori tra cui giornalisti, intellettuali e personaggi politici accorsi davanti alla Royal Courts of Justice per affermare a gran voce che criminalizzare Assange significa criminalizzare il giornalismo, e per lottare in favore della libertà di stampa. Ieri abbiamo seguito la lunga diretta della Cnn che ha trasmesso live per tutta la giornata fuori dall’Alta Corte. Per ore, mentre la folla urlava come un mantra “No extradiction, free Julian Assange”, all’interno del tribunale si disputava l’ultima speranza. Il verdetto, non ancora pronunciato, metterà un punto a quello che è il caso di libertà di stampa più importante al mondo e il primo in cui il governo degli Stati Uniti ha fatto affidamento sull’Espionage Act come base per l’incriminazione di un editore.

“Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti non avrebbe mai dovuto incriminare Assange ai sensi dell’Espionage Act, perché l’incriminazione e il perseguimento di un editore ai sensi di questa legge rappresenta una grave minaccia per la libertà di stampa” ha commentato Jameel Jaffer, direttore esecutivo del Knight First Amendment Institute presso la Columbia University. “La questione se Assange stesso sia un giornalista è una falsa pista.

L’atto d’accusa si concentra quasi interamente sul tipo di attività che i giornalisti della sicurezza nazionale svolgono abitualmente e come parte necessaria del loro lavoro: coltivare le fonti, comunicare con loro in modo confidenziale, sollecitare loro informazioni, proteggere le loro identità dalla divulgazione e pubblicare informazioni classificate. Un processo di successo contro Assange sulla base di questa accusa criminalizzerebbe gran parte del giornalismo investigativo che è assolutamente cruciale per la nostra democrazia. Il Dipartimento di Giustizia dovrebbe far cadere le accuse dell’Espionage Act, che non avrebbero mai dovuto essere presentate in primo luogo”. To be continued…


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