Esteri

Attualità di un classico della comunicazione politica americana “Non pensare all’elefante” di George Lakoff

di Redazione -


“Non pensare all’elefante! Come riprendersi il discorso politico” di George Lakoff, Chiarelettere, pp. 244, euro 17,00 è da qualche tempo in libreria in una rinnovata edizione italiana introdotta da una breve quanto puntuale prefazione di Gianrico Carofiglio. La prima edizione statunitense del 2004 fu un vero e proprio bestseller divenendo ben presto, non solo negli USA, uno dei testi fondamentali della comunicazione politica. I toni aspri e velenosi delle recenti elezioni presidenziali americane e le sterili reazioni finali del candidato perdente hanno reso ancora più attuale questo testo già noto e apprezzato ovunque dai professionisti della comunicazione politica.
Lakoff, già professore di Linguistica e scienze cognitive all’università di Berkeley, in California, e attualmente direttore del Center for Neural Mind & Society, ha il merito di aver introdotto una certa vivacità nel fondamentale dibattito tra scienza e democrazia. Sin dalla prima edizione “Non pensare all’elefante!”, chiaramente indirizzato al partito democratico statunitense e ai progressisti in genere, segnalava con argomentazioni scientifiche mutuate dalle neuroscienze l’importanza delle parole e delle metafore nella competizione politica. L’elefante citato in copertina è, per intenderci, il simbolo del partito repubblicano negli USA. Il titolo contiene l’esortazione a non utilizzare le stesse espressioni dell’avversario perché in tal modo, facendo ricorso alle sue stesse idee, si fornisce ingenuamente la dimostrazione di riconoscerle come valide accrescendo e legittimando la posizione dominante della parte avversa.
“Come scienziato cognitivo”, chiarisce Lakoff, “il mio compito è di contribuire a rendere conscio l’inconscio”. Ed ecco emergere la spiegazione su come funziona il cervello umano ricorrendo alle scoperte e alle intuizioni fondamentali delle neuroscienze. “Noi tutti”, spiega Lakoff, “pensiamo con il cervello. Ogni pensiero è fisico, è veicolato dai circuiti neuronali che strutturano il nostro cervello. Comprendiamo solo ciò che il nostro cervello ci consente di comprendere”. Addentrandosi nell’analisi della comunicazione politica l’Autore individua le strutture cerebrali che vanno opportunamente indagate e considerate perché responsabili delle idee, dei convincimenti politici di ciascuno di noi e delle scelte e dei comportamenti che ne conseguono. Tali strutture cerebrali maggiormente rilevanti per la politica, nella terminologia di Lakoff prendono il nome di frame. “I frame sono cornici mentali che determinano la nostra visione del mondo e di conseguenza i nostri obiettivi, i nostri progetti, le nostre azioni e i loro esiti più o meno positivi. In politica influiscono sulle scelte e le istituzioni che le applicano”. La nostra visione di ogni singola questione politica, sociale ma anche personale, economica, imprenditoriale è dunque catalogata ed inconsciamente riposta in un frame, in una cornice-contenitore che gli scienziati chiamano “inconscio cognitivo”. In politica, e non solo, la mente funziona per metafore. La parola, la frase o lo slogan rimandano ad una struttura o cornice, il frame, che in politica e in altri campi rappresenta un’idea del mondo e della vita in genere. Il meccanismo è in realtà più complesso ed anticipa e in un certo senso disvela la contorta complessità e l’apparente inverosimiglianza di quella che viene definita post-verità. Lakoff spiega così il diffuso rifiuto dei fatti, di per sé eloquenti ed oggettivi, e delle prove provate, dell’evidenza e della razionalità: “Possiamo anche venire a conoscenza dei fatti ma se questi non corrispondono alle strutture concettuali presenti nel nostro cervello, ci sfuggono senza che riusciamo ad interpretarli. Non li ascoltiamo, non li accettiamo come fatti, ci confondono, non ne comprendiamo il senso, finiamo per etichettarli come dati irrazionali, insensati o di nessuna importanza”. Da questa premessa discende un pericolo evidente: “Il linguaggio populista, intollerante e intriso di retorica può diventare vincente”.
Scritto soprattutto per il lettore americano, il libro si addentra man mano su percorsi, sfumature e graduazioni del concetto di frame rendendolo progressivamente, per quanto possibile, sempre più accessibile e chiaro. Ampliando la sua indagine affiancata da suggerimenti pratici, Lakoff ripercorre alcune tappe fondamentali della storia recente del suo Paese e della comunicazione politica statunitense, analizzando alcune campagne e strategie elettorali (Obama e Trump) o situazioni di crisi interne e internazionali (l’attacco alle Torri Gemelle del 2001 e la Guerra del Golfo). Di sicuro interesse è l’analisi del linguaggio di Trump, il quale, sostiene Lakoff, trasforma le parole in armi. Ed è con queste armi che scalfisce la realtà come più gli conviene: la realtà percepita dai suoi elettori è costruita con continue coniazioni di soprannomi ed epiteti, con ripetute espressioni ad effetto, con abili, colorite battute o veementi insulti, invettive, minacce, con pause sapienti dettate dai tempi da palcoscenico o da talk show. La realtà percepita, a discapito di quella reale, si avvale di strumenti formidabili, armi vere e proprie che raggiungono i cervelli: il Washington Post ha rilevato a suo tempo che in meno di 1000 giorni Trump aveva pubblicamente pronunciato ben 10 mila dichiarazioni inesatte o fuorvianti. Anche la recente competizione presidenziale ha visto l’uso disinvolto di queste “armi”. Ma il contesto, caratterizzato dall’altissimo numero di contagiati e di vittime della pandemia e dalla massiccia mobilitazione popolare dei democratici unitamente all’infelice abbinamento di provocazioni ardite prive del relativo frame di riferimento (una su tutte l’affermazione che i medici americani “fanno più soldi se qualcuno muore di covid”), stavolta ha irrimediabilmente impedito a Trump di raggiungere il risultato della vittoria.
La vera sfida in politica è secondo Lakoff nelle parole che devono essere non reattive rispetto a quanto affermato dagli avversari ma propositive e “diverse”. Esse devono avere alla base solide idee. Perché ogni singolo frame non è una parola, una frase, uno slogan. E’ sostanzialmente e anzitutto un’idea che peraltro, come realisticamente appare chiarissimo all’Autore, va costruita nel tempo (Lakoff parla di circa 10 anni) con ingenti strumenti mediatici e appositi staff di professionisti. “Non pensare all’elefante!”, come si diceva all’inizio, contiene una ferma esortazione di consolidata scienza e saggezza: non usare le stesse parole (ed idee) dei tuoi avversari o finirai con l’evocare le loro stesse espressioni ed idee col risultato di conferire ad esse sempre maggiore legittimità e diffusione. Chi lavora nella comunicazione politica sa bene quanto questo principio sia fondamentale e prezioso in particolar modo nelle competizioni elettorali e, quando bene lo ha applicato, ha sempre avuto modo di verificarne sul campo la validità e l’efficacia.
Paolo Gatto


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