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Big Tech, big flop Microsoft e Google licenziano in massa

di Cristiana Flaminio -


Microsoft ha annunciato 11mila licenziamenti, Google invece procederà a breve a tagliare 12mila esuberi. Non è un buon momento per le Big Tech, non lo è soprattutto per i lavoratori delle aziende informatiche e digitali, delle grandi multinazionali che dominano internet che, insieme ai loro capi, sperimentano ristrettezze dopo decenni di vacche grasse, di assunzioni continue e di investimenti a pioggia.
La mannaia dei tagli interessa due delle più importanti aziende, due simboli dell’era digitale. Si tratta di Microsoft, la “creatura” che ha trasformato il giovane e squattrinato Bill Gates in uno dei “grandi vecchi” più ricchi del mondo, e che è la più grande azienda di software al mondo. Il mondo gira con i suoi programmi informatici. Poi c’è Google, il motore di ricerca più compulsato del mondo che ha fatto la fortuna di Larry Page e Sergey Brin. Che, nel corso degli anni di continui guadagni e di consolidamenti sempre più importanti, s’è potuta permettere di aprire un’intera divisione, Calico, per “sconfiggere la morte”. Non si sa se gli scienziati ingaggiati riusciranno mai a sopraffare la Signora con la Falce, di sicuro, però, i loro patroni non riescono di certo a spuntarla contro qualcuno che, in fondo, forse è persino più inesorabile della morte. Cioè i mercati.
Microsoft e Google hanno bruciato letteralmente miliardi in Borsa. L’inverno digitale s’è abbattuto con violenza sulle quotazioni e sulle capitalizzazioni delle aziende legate all’hitech. Un’azione del colosso di Seattle, a dicembre 2021, vale oltre i 300 euro a fronte di un fatturato acquisito pari a poco più di 168 miliardi di dollari. Oggi il valore degli stocks è tornato poco sopra i 216 euro, perché i mercati – come sempre – premiano chi licenzia. Gli esuberi annunciati in Microsoft sono quasi 11mila, poco meno del 5% dell’intera forza lavoro disponibile. Le procedure, per alcuni di loro, sono immediate. Ma l’azienda ha annunciato che il piano, finalizzato a rivedere i costi e a ridurre le spese, coinvolgerà anche i fitti delle sedi. Il valore dell’operazione di razionalizzazione delle spese annunciata da Microsoft ammonta a 1,2 miliardi di dollari. Si tratta di una somma enorme ma che, in fondo, appare quasi ridicola se rapportata a quanto spende, in beneficienza, la fondazione Bill e Melinda Gates. Entro il 2026, l’ente regalerà in giro per il mondo (ogni anno) quasi nove miliardi di dollari. Attualmente ne dona sei all’anno. Intanto, gli investitori applaudono e la notizia è stata “premiata” in Borsa con un aumento di quasi il 2% in un paio di giorni.
“Sentitevi liberi di lavorare da casa, prendetevi cura di voi stessi mentre assorbite questa notizia”. Così, mellifluo, il ceo di Google Sundar Pichai ha annunciato che Mountain View si libererà di 12mila impiegati sui 187mila complessivi di Alphabet. Per sbarazzarsene, negli Usa è bastata una mail. Altrove “questo processo richiederà più tempo a causa delle leggi e prassi locali”. Secondo una prassi ormai consolidata, la notizia è uscita prima sui giornali e solo dopo è stata confermata dai vertici aziendali. Pichai ha promesso: “Pagheremo i dipendenti durante l’intero periodo di notifica, minimo 60 giorni; offriremo una buonuscita a partire da 16 settimane di stipendio, più due settimane per ogni anno aggiuntivo trascorso in Google, pagheremo i bonus del 2022 e le ferie residue, offriremo 6 mesi di assistenza sanitaria, servizi di collocamento e supporto all’immigrazione per le persone interessate. Al di fuori degli Usa, sosterremo i dipendenti in linea con le pratiche locali”. I mercati, ovviamente, hanno premiato la decisione di Pichai e il titolo ha guadagnato, ieri, più del 5% del suo valore.

I tagli a Microsoft e Google sono soltanto gli ultimi, in senso temporale, nel mondo digitale. Facebook ha già avviato 11mila licenziamenti, Amazon ha tagliato 18mila lavoratori, Twitter ha salutato poco meno di 3.700 persone. In tutto, hanno perduto il lavoro quasi 50mila persone. Praticamente, è come se l’intera popolazione di una città delle dimensioni di Venezia si sia ritrovata costretta, da un giorno all’altro, ad aggiornare il proprio curriculum. Ma non è l’apocalisse per il mondo digitale. Semmai un ridimensionamento dopo la grandissima avanzata che si era registrata con la pandemia e che si è dimostrata non strutturale.

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