Ambiente

Buono, pulito e giusto. Con Slow Fiber anche l’abbigliamento è green

di Angelo Vitale -


Sano, bello, pulito, durevole, buono e giusto. Affermatosi da decenni come il movimento che promuove il diritto al piacere alimentare, Slow Food infrange anche il tabù della moda, dopo aver valorizzato con il cibo e il vino un’ispirazione che a suo tempo faticò non poco a farsi strada proprio nella sinistra da cui traeva la sua genesi. “Compriamo troppo e sprechiamo più che mai: non solo in campo alimentare con il cibo che dovrebbe nutrirci e invece non arriva nemmeno sulle nostre tavole, ma anche nel settore dell’abbigliamento e dell’arredamento”: questa la presa di coscienza che serve ad allontanarci dalle scelte del fast fashion e che sta dietro l’intesa tra Slow Food Italia e alcune note realtà del tessile del territorio nazionale. Ne emerge Slow Fiber, un movimento con il suo manifesto, che punta a scongiurare l’abbraccio di imprese e consumatori con un sistema di produzione non sostenibile.
Analogo il metodo già messo a frutto da Slow Food: Slow Fiber promuove un rapporto più giusto etico con il vestire, per contrastare quanto prefigura il report della Commissione Europea “Textiles and the environment in a circular economy: the role of design in Europès circular economy”: la produzione e il consumo di prodotti tessili continua ad impattare su cima, consumo di acqua e di energia, ambiente. Globalmente raddoppiato tra il 2000 e il 2015, il consumo di capi di abbigliamento è stimato di un +63 % entro il 2030, dagli attuali 62 a 102 milioni di tonnellate. Nell’Unione europea, rappresenta attualmente in media il quarto maggiore impatto negativo sull’ambiente e sui cambiamenti climatici e il terzo per l’uso dell’acqua e del suolo. Ogni anno, l’Europa manda al macero 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili e ogni cittadino europeo acquista 26 chili di vestiti all’anno, buttandone via 11 chili,dopo averli indossati appena 7-8 volte. Nota molto negativa: solo il 13% di essi viene riutilizzato o riciclato.
Perciò Slow Fiber punta a ripensare la moda e il mondo del tessile in ottica green. Lo spiega Dario Casalini che l’ha fondato: “Il modello del fast fashion ha imposto una coincidenza tra nuovo e bello: capi che vengono prodotti in grandi quantità e bassa qualità e creano rifiuti. Va recuperato un concetto di bellezza con valori etici, perché essere sostenibili significa avere un atteggiamento intellettualmente onesto. E quindi prendere in considerazione tutto il sistema”. Aderendo all’iniziativa, le aziende fondatrici del network, si sono autoregolamentate sulla scorta di indicatori globali di eticità, sostenibilità e responsabilità sociale, con una autovalutazione a doppia funzione: per allineare tutte le aziende del network e per favorire percorsi chiari e trasparenti. “Va ripensato il nostro posto nel mondo – sottolinea Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia -, per abbandonare un pensiero e un linguaggio predatori, a favore di una consapevole umiltà per nutrire una percezione di bellezza e un senso di giustezza”.
Una sfida già accettata da Oscalito, l`Opificio, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Manifattura Tessile Di Nole, Holding Moda, Lane Cardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico. L’auspicio, nel solco già percorso con fortuna da Slow Food è quello di arrivare lontano: “Vogliamo proporre un cambio di paradigma della produzione e del consumo – dice Casalini -. L’impegno è di farlo con il medesimo rigore scientifico”.


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