Cinema

Caracas, un’insolita storia D’Amore

di Riccardo Manfredelli -


Per un certo periodo Marco D’Amore e Toni Servillo sono stati allievo e maestro, e “Caracas”, si gioca tutto sul rapporto polivalente tra i loro rispettivi personaggi. Perché Caracas e Giordano Fonte non sono semplicemente una creatura letteraria e il suo Autore; il film, terza prova dietro la macchina da presa per Marco d’Amore è tratto dal libro-inchiesta “Napoli Ferrovia” di Ermanno Rea. E neppure si può realisticamente azzardare che siano la stessa persona, come invece mi sono scoperto a congetturare a un certo punto per trovare respiro dal groviglio privo di senso in cui mi sono sentito incastrato per tutta la prima parte del racconto. Caracas e Giordano Fonte sono entrambi figli della Napoli più viscerale (una città-mondo come lo possono essere una banlieu francese, un barrio argentino, una favela brasiliana) che, ad un bivio, imboccano strade agli antipodi; uno è la sliding door dell’altro, il “cosa sarebbe stato se…”
“Caracas” che d’Amore adatta per lo schermo assieme al fidato Francesco Ghiaccio, è la storia di un ritorno ed un riscatto. Il ritorno di Giordano a Napoli, perché la nostra storia si compie anche attraverso i luoghi che abbiamo abitato, e il riscatto di Caracas che si compie attraverso la letteratura. Come a dire: ciò che nella realtà va storto, proviamo a raddrizzarlo attraverso la letteratura, e quindi anche il cinema. Nota interessante è che d’Amore-Rea fa qui il percorso di Pirandello al contrario: è l’Autore che va alla ricerca del suo personaggio, vi si imbatte quasi, forse anche per riconciliarsi con una parte di sé stesso. Quando parla degli ultimi, la letteratura assolve al suo compito più alto, li strappa all’anonimato in cui la realtà li ha confinati, pur senza poterli forse salvare del tutto. L’aspetto più doloroso di “Caracas” sta quindi in questa dicotomia: Caracas e Yasmina (Lina-Camèlia Lumbroso) sono ben consapevoli della loro precarietà; lui sa che non potrà restare per sempre a guardare il mare, lei piange in macchina perché sa che il suo sogno di fuga non si realizzerà mai.
Per prepararsi al ruolo di Caracas Marco d’Amore, indimenticabile Ciro Di Marzio di “Gomorra”, ha frequentato per diverso tempo la Moschea Zayd Ibn Thabit a Napoli, vicino Piazza Mercato, accendendo un faro su un fenomeno interessante: secondo le stime, solo a Napoli ogni giorno almeno sette uomini si convertono, “fanno ritorno”, all’Islam con l’intenzione di sposare una persona musulmana. Non è solo una nota antropologica ma il contesto che serve a dare la giusta misura dell’amore sempre “sul confine” che lega Caracas e Yasmina; quando si conoscono lui è ancora un militante di estrema destra, lei una ragazza cresciuta nel solco degli insegnamenti di Allah (ma attenzione a una scena “iconoclasta”). Quando lui si converte, lei abbraccia i canoni della vita occidentale. Il finale aperto che Fonte scrive per loro è l’occasione che nella realtà non si sono mai concessi davvero.


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