Caso Caffaro, disastro consapevole e Todisco regista
Caso Caffaro Todisco considerato il regista dell’operazione. L’obiettivo: “far ricadere la colpa su qualcuno”.
“Dobbiamo far ricadere la colpa su qualcuno”. È categorico l’amministratore delegato della Caffaro Brescia, Alessandro Quadrelli, mentre conversa con il direttore dello stabilimento Alessandro Francesconi, nell’inquadrare le pressanti questioni ambientali che incalzano la gestione dell’azienda del gruppo Todisco, che dal 2011 ha rilevato la produzione del disastroso sito di Brescia, una vera “bomba ambientale” per fare il salto di qualità sul piano industriale. A distanza di oltre due anni dall’emissione dalla misura interdittiva temporanea dell’impossibilità di ricoprire cariche “di amministratore, preposto, dirigente e procuratore di persone giuridiche di imprese”, che colpisce oltre che Quadrelli e Francesconi anche il “regista” dell’operazione, Antonio Donato Todisco, 67enne imprenditore che nel decennio 2011-2021 diventa il principale player della chimica di base italiano grazie all’acquisizione a prezzi di saldo degli stabilimenti di Brescia, Bussi sul Tirino (Pescara) e Cagliari, è evidente il disegno nel “sito di interesse nazionale” di Brescia: macinare utili a dispetto delle problematiche ambientali cui avrebbe dovuto far fronte e che invece aggrava. Giova ricordare che dopo la messa in liquidazione della Caffaro Chimica srl e Caffaro srl, controllate dal gruppo Snia, sul finire della prima decade del terzo millennio, le attività del gruppo vengono acquistate il 7 marzo 2011 dalla New Co Brescia srl amministrata da Todisco, poi denominata Caffaro Brescia spa e poi Caffaro Brescia srl gestite dal toscano Quadrelli, 71enne, braccio destro di Todisco. Per i due e il 63enne dirigente Francesconi la procura di Brescia ha chiesto il processo per disastro ambientale e compariranno davanti al gip con altre sette persone il 26 settembre. Todisco, che fino ad allora è un commerciante di prodotti chimici di Pisa, per la prima volta grazie a Brescia – che paga solo 380 mila euro da versare in sei anni per le questioni ambientali aperte – può produrre clorito di sodio e ipoclorito di sodio per il trattamento delle acque. La società si impegna a gestire la barriera idraulica del sito che inquina da decenni Brescia e il circondario per venti chilometri – l’ormai famoro “carcinoma nel centro della città” – ed a trattare le acque emunte dalla barriera idraulica per impedire di inquinare la falda. In realtà questo non avviene, almeno per evitare l’aggravamento dell’inquinamento, anzi Todisco quando capisce che la sua attività a Brescia si sta per esaurire perché sarà difficile rinnovare la fondamentale “autorizzazione integrata ambientale” (AIA), punta su un altro sito problematico come quello di Bussi. Il gip Alessandra Sabatucci è chiarissima sul punto. “Todisco risulta l’amministratore di fatto del sito – perché dalle intercettazioni emerge che impartisce a Quadrelli e Francesconi indicazioni operative non sindacabili su ogni aspetto dell’attività – regista operativo dello svolgimento di attività dell’impianto bresciano e del trasferimento dell’intera attività a Pescara, per allontanarsi dalle problematiche ambientali del Sin e mantenere la continuità aziendale”. Dunque Bussi è la continuità aziendale di Brescia, come osserva il tribunale, ed è una delocalizzazione per la quale il gruppo Todisco, tramite la controllata holding Gestioni Industriali spa che gestisce Chimica Bussi – dal 2021 anche Chimica Assemini a Cagliari rilevata dall’Eni – riceve un finanziamento dallo Stato tramite Invitalia di 15 milioni di euro, di cui parte a fondo perduto. Insomma, Todisco che doveva essere il “garante ambientale” di Brescia, come scrivono i magistrati, in realtà fa bingo industriale sulla pelle dei bresciani che patiscono un aggravamento del disastro ambientale a base di bicromato di sodio, cromo esavalente e policlorobifenili (Pcb). Egli, tramite i suoi legali, respinge tutte le accuse assieme ai due manager presunti complici, ma i pm bresciani coordinati dal procuratore disegnano il quadro di un “disastro consapevole”. Todisco e i suoi manager mettono in pratica – come scrive il gip – una “natura pervicace descritta nei capi d’accusa (inquinamento e disastro ambientale, etc) -, la matrice gravemente dolosa della condotta serbata” dal terzetto, “l’aperta indifferenze manifestata da costoro rispetto al progressivo aggravarsi del disastro ambientale a causa della loro mala gestio”. Come dimostrano, per i pm Bonfigli e Greco, le intercettazioni durante le quali gli imputati puntano a far dichiarare “illegale” l’obbligo assunto con i contratti del 2011 di far funzionare la costosa barriera idraulica. “Dobbiamo far ricadere la colpa su qualcuno”, dice Quadrelli a Francesconi, consapevoli che per fare più utili bisogna travolgere la legge.
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