L’ammiraglio incendia, il Governo spegne: gelo su Cavo Dragone
Il Governo gela Cavo Dragone dopo le sue parole sull’offensiva Nato. Irritazione politica, timori diplomatici e richiami alla prudenza scuotono Roma.
L’uscita che ha sorpreso Roma
Le dichiarazioni dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Capo del Comitato Militare della Nato, hanno irrotto nel dibattito con la forza di uno shock politico. Parlare di una strategia “più offensiva” dell’Alleanza verso la Russia, arrivando a ipotizzare attacchi preventivi, è bastato per far scattare l’allarme nei palazzi del governo.
Palazzo Chigi reagisce con fastidio, quasi con stizza: «Non si parla di certe cose. Se serve, si fanno». Una linea di riservatezza che l’ammiraglio, secondo molti, avrebbe valicato con un tempismo che sfiora l’imprudenza.
La Lega attacca apertamente: «Occorre responsabilità, non provocazioni». Tajani, più diplomatico, insiste sulla prudenza: «Contano i fatti, non le parole». Il messaggio è unico: Cavo Dragone ha parlato troppo, nel momento meno indicato.
Nato, politica e i confini del ruolo
Il nodo è istituzionale. Il Comitato Militare non detta la linea strategica dell’Alleanza: questa arriva dal Consiglio Atlantico, organo politico, e sempre all’unanimità. Da Washington non arriva nessun segnale di un cambio dottrinale.
Intanto l’Italia lavora sul fronte invisibile: droni da intercettare, reti sotto attacco, operazioni di disinformazione che corrono come ombre. È qui, nella pratica quotidiana, che si misura la deterrenza. È qui che la discrezione diventa strumento, non optional.
E in questo quadro arriva l’affondo durissimo dello storico ed ex ambasciatore Domenico Vecchioni:
«L’ammiraglio Cavo Dragone. Capo del Comitato Militare della Nato, dovrebbe dimettersi per le sue dichiarazioni inopportune, intempestive e inutili. Cosa ha detto, in effetti, l’ammiraglio ? Ha detto, in sostanza, che la Nato dovrebbe adottare una strategia “più offensiva” nei confronti della Russia, non escludendo attacchi preventivi. Dichiarazioni inopportune perché notizie del genere (cambio di strategia della Nato) dovrebbero essere coperte da una segretezza al massimo livello e non spiattellate sui media come se niente fosse. Intempestive, perché arrivano nel momento più delicato e drammatico dei traballanti negoziati di pace, dove anche una frase fuori posto può avere conseguenze gravi. Inutili perché tutti sanno che la Nato sono gli Stati Uniti e non sembra proprio che questa sia la strategia militare di Washington e alla Nato, bisogna ogni volta ricordarlo, le decisioni vengono prese all’unanimità e non dal Comitato Militare, ma dal Consiglio Atlantico (organo politico).
Mosca, dal canto suo, ha reagito considerando le dichiarazioni di Cavo Dragone del tutto irresponsabili. Esse insomma non offrono un contributo valido né alla pace né alla guerra. Non risulta peraltro che l’ammiraglio italiano sia stato nominato Portavoce dell’Alleanza, ruolo che spetta invece al Segretario Generale. Perché dunque egli ha fatto queste dichiarazioni incendiare e in questo preciso momento? Per sabotare i negoziati di pace o per rilanciarli, facendo pressione indiretta sulla Russia? Non lo so e non m’interessa nemmeno troppo. So solo che farebbe bene a dimettersi, avendo creato troppo imbarazzo negli ambienti politici nostrani, internazionali e nell’ambito della stessa Nato.»
E poi ci stupiamo se a Roma sale il gelo
Alla fine, tutto si riduce a questo: c’è chi parla come se fosse al bar e chi, invece, vorrebbe che il bar restasse chiuso. L’Italia sceglie la seconda via, perché la sicurezza nazionale non ama le improvvisazioni né le conferenze stampa travestite da strategia.
Il caso Cavo Dragone resterà negli archivi come monito: quando il ruolo pesa più dell’ego, è il silenzio a fare carriera.
E se a Palazzo Chigi è calato il gelo, forse non è l’inverno: è solo che certe parole, a volte, scaldano… gli altri. E raffreddano chi le ascolta.
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