“Silenzio in pagella: e la sinistra resta a bocca chiusa”
Funzionario Quirinale: un caso che scuoterebbe qualsiasi Paese normale
La vicenda è una di quelle che, in un Paese normale, aprirebbero i telegiornali per settimane. Un funzionario della presidenza della Repubblica viene registrato mentre ipotizza addirittura una manovra interna per “abbattere” il governo Meloni. La presidenza nega tutto, si difende, parla di ricostruzioni infondate, eppure resta un dettaglio che stona: nessun provvedimento, nessun passo indietro, neppure il riconoscimento di un rapporto fiduciario incrinato. E allora la domanda non è più “come è stata fatta la registrazione”, la domanda vera è “cosa diavolo è stato detto”. Perché nella vita, come in politica, la forma è elegante, ma è la sostanza che pesa: e se la sostanza è che un funzionario dello Stato parla di complotti ai danni del governo, allora siamo davanti a un fatto di una gravità enorme, altro che dibattito sulla privacy.
Anche perché, mentre da un lato si sono alzati scudi indignati in difesa del “diritto alla riservatezza” del funzionario, dall’altro abbiamo assistito alla scena più grottesca: l’opposizione che, invece di alzare la voce, come ha sempre fatto per vicende infinitamente più leggere, rimane in un silenzio quasi religioso. Ed è strano, perché questa è la stessa sinistra che per anni ha invocato dimissioni come se piovessero, che non ha mai esitato a chiedere passi indietro, scuse pubbliche, processi morali e mediatici. Ma questa volta, niente. Anzi, qualcuno si è addirittura affrettato a difendere la “violazione della privacy”, come se l’unico problema fosse la registrazione, non il contenuto esplosivo delle parole pronunciate. Un silenzio così assordante da meritare un bel due secco in pagella.
Le frasi attribuite al funzionario del Quirinale
Ed è proprio qui che le parole attribuite al funzionario diventano ancora più pesanti se riportate così come sono circolate. Non frasi vaghe, non impressioni, ma dichiarazioni nette come: “Qui dentro si sta lavorando per far cadere il governo”, “La linea è chiara: bisogna indebolirli”, “Tanto non dureranno, l’obiettivo è accompagnarli verso la fine”. Se davvero un uomo delle istituzioni pronuncia frasi di questo tipo, non siamo più davanti a un problema tecnico, ma a un terremoto istituzionale.
E mentre la presidenza si limita a smentire — “Reconstructioni destituite di ogni fondamento” — resta comunque un fatto: se quelle parole non fossero mai state pronunciate, se quelle intenzioni non fossero nemmeno immaginabili, allora il funzionario sarebbe stato immediatamente allontanato. Perché un collaboratore che inventa complotti interni danneggia gravemente la stessa istituzione che rappresenta. Il non intervento, invece, lascia aperta una domanda che fa tremare i polsi.
Quello che stupisce ancora di più è il comportamento dell’opposizione. Per anni ha costruito la sua identità politica urlando: “Dimissioni subito!”, “Fate un passo indietro!”, “Chiarite immediatamente!”. Oggi, invece, nessuno chiede nulla. Nessuno che prenda posizione, nessuno che dica che una frase come “Stiamo lavorando per farli cadere” è incompatibile con una Repubblica democratica. Tutti zitti, tutti allineati, tutti tremendamente prudenti. Una prudenza che somiglia tanto a una difesa di parte, altro che sensibilità istituzionale.
Trasparenza, istituzioni e un’occasione mancata
E paradossalmente è proprio l’opposizione a perdere l’occasione migliore: quella di dimostrare che la legalità e la trasparenza vengono prima delle simpatie politiche. Perché qui non c’è da difendere la Meloni o attaccare il Quirinale: c’è da difendere il principio che chi lavora per le istituzioni non può complottare contro un governo democraticamente eletto, né vantarsi di farlo davanti a un registratore.
La forma, certo, può essere criticata: la registrazione non autorizzata, la sua diffusione, le modalità. Ma di fronte a parole di questo tipo, la forma impallidisce. “Qui dentro si decide il destino dei governi” è una frase che in un Paese serio imporrebbe scosse immediate, verifiche, allontanamenti, chiarimenti istituzionali. E invece siamo qui a inseguire cavilli, come se l’unica cosa che contasse fosse il metodo e non il contenuto.
La caduta della sinistra e il voto finale
Per questo la sinistra, che pure si è sempre presentata come guardiana dell’etica pubblica, questa volta cade fragorosamente. Cade nel silenzio, cade nella difesa imbarazzata della privacy, cade nell’incapacità di dire una sola parola di condanna verso un comportamento che, se confermato, rappresenterebbe uno dei casi più gravi degli ultimi anni. E la caduta, purtroppo per lei, non può che essere registrata in pagella: voto 2, con tanto di nota disciplinare.
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