Esteri

C’eravamo quasi odiati

di Giovanni Vasso -

GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese


Disgelo. Nella Terra dei Ghiacci. Sarà in Islanda, luogo gelido e mistico, tra vulcani e geyser, che andrà in scena il prossimo capitolo della saga (poco, pochissimo nordica) tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron. Chi la sa lunga ne è sicuro: Italia e Francia non possono restare in guerra tra loro. E il primo appuntamento utile a far sbollire le tensioni sarà l’Eurogruppo a Reykjavik, la capitale islandese. L’incontro è in programma tra il 16 e il 17 maggio prossimi. Se per quella data gli sherpa non saranno riusciti a ricucire gli strappi, ci sarà una seconda occasione. In Giappone. All’appuntamento del G7, in programma a Hiroshima, dal 19 al 21 maggio. Poi, magari, si potrà anche parlare di riprendere il dialogo bilaterale che le ultimissime uscite del ministro degli interni francese Gérard Darmanin e del capo di Reinassance Stéphane Séjourné hanno contribuito a congelare.
La partita politica. Giorgia Meloni, per Macron e il suo governo, rappresenta un doppio problema. Lo hanno scritto anche, o forse soprattutto, i giornali francesi. Per monsieur le président, Meloni è l’incarnazione di successo della sua nemesi politica, Marine Le Pen. Pensare, però, che si tratti solo di una questione domestica, di un Macron pressato a destra dal Rassemblement e a sinistra da Jean Luc Melenchon, sarebbe riduttivo e superficiale. Il “problema” è che si vota. Tra un anno si torna alle urne per le Europee. Attualmente, l’esecutivo Ue si regge su un patto di coalizione amplissimo noto alle cronache come “maggioranza Ursula”. Una specie di consociativismo 3.0 che tiene tutti insieme e, a seconda dei temi da votare, prende consensi dall’una o dall’altra area del parlamento. La Commissione, infatti, è sostenuta da Ppe (che esprime nove commissari, tra cui la stessa Von der Leyen), dal Pse (altri 9 commissari), dai liberali di Alde (quattro) e persino da una parte dei Conservatori della stessa Meloni che esprimono un commissario. La premier italiana, però, sta brigando per rafforzare il patto del centrodestra europeo. Da una parte il Ppe, dall’altra i Conservatori. Con l’obiettivo di sopraffare i socialisti e di rendere più chiari e netti gli equilibri nell’europarlamento. Uno scenario che potrebbe dare molto fastidio al centro. Specialmente a Renew Ue, il gruppo renzian-macroniano, che nell’assise s’è creato un ruolo che ricorderebbe molto quello che ebbe, ai tempi, il glorioso Udeur di Mastella. Quello dell’ago della bilancia che può oscillare senza dover rispondere ad appartenenze di coalizione invalicabili. Se Ppe e Conservatori si uniscono e fondano una vera coalizione è perché credono di poter realizzare una maggioranza solida. Che potrebbe fare a meno di tutti gli altri, dai centristi fino ai socialisti e Verdi. La Meloni, insomma, può rompere tante uova nell’europaniere.
Lo sguardo sull’Africa. Giorgia Meloni, fino allo sfinimento, sta dicendo di voler fare dell’Italia una potenza mediterranea. Il piano Mattei già dal nome appare una sfida alla grandeur francese. L’ex presidente dell’Eni, infatti, è considerato un “amico indimenticabile” dall’Algeria dal momento che sostenne le istanze di indipendenza del Paese proprio dalla Francia. Ma c’è un altro (grande) problema. L’Italia punta a giocare un ruolo decisivo in Libia, anzi, nelle due Libie. Tanto a Tripoli quanto a Tobruk. Inoltre, Meloni sta tentando di allacciare e rinsaldare relazioni in Africa e nel Vicino e Medio Oriente allo scopo, dichiarato, di fare dell’Italia il passaggio decisivo, se non obbligato, tanto delle materie prime energetiche quanto dei commerci internazionali. Siamo ancora lontani dalla realizzazione degli obiettivi del governo. Il ritrovato protagonismo italiano nel Continente Nero non fa piacere a Parigi che sta scontando una stagione di cocenti sconfitte e di amare delusioni. Dal Mali fino al Congo. Parigi, e segnatamente Macron, stanno prendendo scoppole, in serie. L’ultimo tour, a marzo, nella Françafrique s’è trasformato in un boomerang. Un carosello di polemiche e proteste contro l’Eliseo, divampate (anche) grazie all’attivismo russo in Africa. Gli italiani c’entrano poco e niente. Ma, dopo anni di sostanziale asservimento politico e di shopping economico, vedere Roma tentare un’impresa su uno scenario inedito, almeno per l’Italia contemporanea, è vissuta dall’Eliseo come una sorta di smacco.
Amici mai
Eppure, Roma e Parigi hanno bisogno di stare insieme. Di fare squadra. Perché, tra un po’,


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