Economia

Ciclone made in USA

di Redazione -


di GIUSEPPE MASALA
Come un fulmine a ciel sereno venerdì, poco prima dell’apertura delle contrattazioni nel mercato di Wall Street, è arrivata la notizia del fallimento dell’aumento di capitale di Silicon Valley Bank, la banca californiana grande finanziatrice delle start up della Silicon Valley. Una notizia davvero inaspettata per il grande pubblico (ma non certo per gli insider), visto che la SVB è una banca di primaria importanza nel sistema bancario americano ed è per giunta leader del mercato in una delle zone più ricche, floride e innovative degli USA e dell’intero pianeta, oltre al fatto che l’aumento di capitale non era certamente di entità enorme (appena 2,25 miliardi di dollari) sia in considerazione delle dimensioni della banca (175 miliardi di depositi totali e 209 miliardi di assets) che in relazione al fatto che la sua area operativa è una delle più importanti e redditizie. Immediatamente al diffondersi della notizia il valore delle azioni è crollato, prima nel cosiddetto pre-market che poi nelle contrattazioni ufficiali, arrivando a perdere fino al 70% rispetto al giorno precedente. Ovviamente questo crollo ha trascinato con se tutto il comparto bancario quotato a Wall Street (JP Morgan compresa). In particolare a subire le ripercussioni del crollo sono state First Republic Bank e Signature Bank che rispettivamente sono arrivate a perdere il -31% e il – 21% con relativa sospensione dalle contrattazioni. Un cataclisma di tali enormi proporzioni (solo le tre banche sopra citate hanno complessivamente depositi per 500 miliardi di dollari) da ricordare quanto accadde quando nel 2008 fallì (o meglio fu lasciata fallire) Lehman Brothers. E in questo quadro drammatico che le autorità americane hanno deciso di agire nominando un curatore fallimentare ed evitando così almeno momentaneamente ulteriori scosse. Tutto il resto è cronaca ma forse vale la pena provare ad indagare le cause profonde di questa “strana” crisi bancaria in corso. Ci danno una mano a capire un paio di tweet del capo economista e global strategist del Fondo Euro Pacific Asset Management: “Il sistema bancario statunitense è sull’orlo di un collasso molto più grande di quello del 2008. Le banche possiedono carta a lungo termine a tassi di interesse estremamente bassi. Non possono competere con i titoli del Tesoro a breve termine. I prelievi di massa dai depositanti che cercano rendimenti più elevati si tradurranno in un’ondata di fallimenti bancari” e ancora: “Presto inizierà una crisi finanziaria peggiore di quella del 2008, a meno che la Fed non agisca rapidamente per rinviarla. Tuttavia, in seguito si verificherà una crisi del dollaro USA e del debito sovrano di gran lunga maggiore. Quest’ultimo sarà molto più devastante per l’economia e per gli americani medi.” Proviamo a chiarire. Le crisi bancarie sono importanti perché generalmente sono la spia di sofferenze e gravi stress relativi alle grandezze macroeconomiche fondamentali. Questo avviene perché le banche svolgono un ruolo fondamentale nell’intermediazione tra i fondamentali gruppi che compongono il sistema economico nazionale: famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni. Come si sa, le famiglie sono il gruppo risparmiatore e depositano nelle banche. Al contrario le Pubbliche Amministrazioni (emettendo debito pubblico) e le imprese (o emettendo obbligazioni o chiedendo direttamente prestiti alle banche) sono “i grandi debitori” di un sistema nazionale, questo ovviamente perché sono i “grandi investitori”. Ergo – come si capisce da ciò che ho appena detto – le banche svolgono un ruolo fondamentale; ovvero quello di intermediare tra i grandi investitori (aziende e Pa) e i grandi risparmiatori (famiglie). Come è facile intuire, se c’è una crisi bancaria sistemica, c’è probabilmente un disequilibrio tra quando le famiglie risparmiano e quanto stato e imprese investono. Proviamo a chiarirci: sé le famiglie risparmiano complessivamente 50 dobloni e stato e imprese investono complessivamente 100 dobloni quanto risparmiato dalle famiglie non è sufficiente per soddisfare le esigenze di stato e imprese per i loro investimenti. Ed è qui che entra in gioco il Convitato di Pietra: gli “Investitori Internazionali”. In altri termini, le banche se non riescono a soddisfare le esigenze di investimento di PA e imprese con i risparmi delle famiglie chiedono la differenza all’estero a quelli che comunemente vengono definiti “investitori internazionali”. È chiaro che se una simile situazione si protrae nel tempo per tanti anni, lo squilibrio diventerà molto forte e il sistema nazionale diventerà sempre più dipendente dagli investitori internazionali che ritirando le cifre prestate (o rallentando il livello di afflusso) possono mettere in difficoltà banche o imprese o stato (o anche tutti e tre contemporaneamente). Ecco da dove nascono generalmente i crolli sistemici dei sistemi bancari o dei titoli di stato. Se una nazione è in credito verso il resto del mondo lo vediamo dall’indicatore dei Conti Nazionali chiamato NIIP (Net International Investment Position) con quello americano (USA) calcolato dalla Federal Reserve di Saint Louis che presenta un NIIP negativo per quasi 17000 miliardi di dollari. Una cifra stellare che attesta come il sistema USA sia enormemente dipendente dagli investitori internazionali e dove basta un semplice rallentamento del flusso per generare un terremoto nella borsa o nel sistema bancario. Ma come gli USA possono uscire da questa situazione? Le strade sono semplici e ben conosciute: aumentare le esportazioni, diminuire le importazioni e dunque i consumi (che è in sostanza quanto fatto da Monti in Italia o dalla Trojka in Grecia) o, come suggerisce nel suo tweet Peter Schiff, la terza soluzione è che la Federal Reserve inizi a stampare come se non ci fosse un domani fornendo i dollari nuovi di pacca necessari a tenere in piedi il sistema. È lo stesso Schiff peraltro a indicare il lato negativo di questa “soluzione banzai”; nel medio periodo ciò causerebbe una crisi del dollaro che perderebbe valore rispetto alle altre monete del Forex esattamente come stava accadendo questa estate – guarda caso – alla Gran Bretagna (altro paese con un NIIP in profondo rosso) a causa delle manovre di spesa scriteriate della allora Premier Liz Truss immediatamente mandata a casa e sostituita con uno che sta facendo politiche di austerity compatibili con la necessità impellente di diminuire la dipendenza della nazione dai capitali esteri. Infine ricordo che le reali cause della guerra in Ucraina sono strettamente legate a quanto detto qui sopra per capire quanto sia grave la situazione. E soprattutto quanto sia difficile che il conflitto possa finire a breve: la guerra in corso, o se preferite la “guerra mondiale a pezzi” è una guerra delle monete e dei commerci ed è soprattutto una guerra per la sopravvivenza dell’Impero Americano.


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