IL CARRELLO DELLA SPESA: Ciliegie d’oro, la prima stangata dell’estate
È l’anno buono per rompere la tradizione: con quel che costano, non conviene più mangiare le ciliegie a due a due, come si faceva una volta. I prezzi del frutto che annuncia l’estate sono impazziti. Giungendo a toccare vette inusitate fino a pochi anni fa. Nelle scorse settimane, in alcuni mercati milanesi (e non solo), il costo delle ciliegie aveva raggiunto i 23 euro al chilo. Una notizia che, subito, è andata virale. Sul web e sui media generalisti, a cominciare dalle radio per proseguire fino alle tv, non si è parlato d’altro. Ore di trasmissione, litri di inchiostro e giga di meme per poi ritrovarsi, qualche settimana dopo, a tirare un sospiro di sollievo quando il prezzo delle ciliegie ha raggiunto quote più normali assestandosi, secondo i dati snocciolati da Borsa della Spesa di Bmti e Italmercati, tra gli otto e i dieci euro al chilo. In realtà, gli aumenti sono e restano a dir poco impressionanti. E il senso della stangata si coglie spulciando le cifre Ismea riguardati i prezzi medi all’origine. Un chilo di ciliegie di varietà bigarreau costa, in media, 5,56 euro al chilo: trattasi di prezzo superiore del 54,8% rispetto a quelli praticati un anno fa. Ma non basta, perché le ciliegie Celeste a maggio sono arrivate a costare fino a 7,50 euro al chilo facendo registrare una variazione addirittura a tre cifre e pari al 130,8% in più dal 2024 a oggi. Un’altra stangata riguarda le Georgia: 5,75 euro al chilo per un aumento annuale che sfiora il 77%. Le ciliegie Ferrovia, quelle che hanno fatto urlare allo scandalo a Milano, sono state quotate a maggio 5,38 euro al kg per un aumento del 5,7%. Questi dati istituzionali, però, vanno incrociati coi numeri in arrivo dai mercati dove, all’inizio della stagione, c’era il sentore che le primissime partite in arrivo dalla Puglia potessero essere messe in vendita addirittura a trenta euro al chilo.
La ragione dietro gli aumenti fuori controllo sta, al solito, nella scarsa resa del raccolto. In particolare di quello pugliese. La primavera ha portato con sé quelle gelate che hanno rovinato le piante e i piani degli agricoltori. Pertanto la produzione non sarebbe stata tanto copiosa da garantire prezzi bassi e abbordabili. Almeno all’inizio. Non è mica la prima volta che succede. Andò così anche due anni fa, nel 2023, a causa dell’eccessiva quantità di pioggia. Il risultato fu un’impennata dei prezzi che, però, non raggiunse nemmeno lontanamente i livelli attuali. Il picco dei prezzi si assestò attorno ai 18 euro al chilo e già allora un costo simile sembrò troppo simile a una bestemmia per un frutto che nel 2019 si vendeva a poco più di due euro e trenta centesimi al chilo (fonte Ismea). È pure da segnalare la denuncia che, all’inizio di maggio, ha fatto Coldiretti in merito alla sparizione dei frutteti in Italia. Un problema grave, che incide per ovvie ragioni sulle produzioni e dunque sui prezzi finali al consumatore. E che impatta da vicino il settore primario dell’agricoltura. I numeri, specialmente per quanto riguarda i ciliegi, sono inquietanti. Stando ai conti dell’organizzazione degli agricoltori, difatti, solo in Toscana è scomparso, in dieci anni, addirittura il 57% delle piante. Peggio di tutti, peggio dei meleti (-27%), delle pere (-35%) e delle albicocche (-38%). E persino peggio di pesche (-56%) e degli alberi di fico (55 per cento in meno). L’analisi degli agricoltori è spietata: colpa dei parassiti, sempre nuovi, sempre più letali, specialmente quelli “importati” dall’estero che colpiscono le piante uccidendole e falciando produzioni e potenzialità economiche. E appesentando i prezzi.
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