Politica

Conte fa il “giudice”: assolve Ricci e condanna Sala

di Ivano Tolettini -


La mutazione di Giuseppe Conte, che ha cambiato decisamente registro: non è più “l’avvocato del popolo”, ma veste la toga del giudice. Con un garantismo alternato. Il leader del M5S, che i sondaggi danno in risalita, ha adottato uno stile comunicativo inquisitorio, calibrato per infliggere colpi simbolici là dove fanno più male.

Conte Giudice dall’inchiesta di Milano alle Marche

Quando parla di Milano, il tono è chirurgico: “Ribadisco qui la richiesta di dimissioni del sindaco Sala”, ha scandito in conferenza stampa, non tanto per l’avviso di garanzia, ma perché il sindaco appare al centro di “un sistema di far-west edilizio e di speculazione immobiliare”, che arricchisce pochi a scapito dei milanesi. Affermazioni avvalorate dalla decisone del Gip di ieri che ha firmato le ordinanze di custodia (articolo a pag. 8). Le parole di Conte imbarazzano il Pd, rivelando quanto il cosiddetto “campo largo” resti una geometria variabile, più che un’alleanza organica.

Del resto, Conte asimmetrico alterna carezze e sferzate: verso l’eurodeputato Matteo Ricci, candidato del centrosinistra per la presidenza delle Marche, mostra indulgenza: è un’assoluzione pubblica. “Non ci sono elementi a carico della sua colpevolezza, per chiedere un passo indietro”, sottolinea il leader giudice.

Che invece su Milano ha emesso già il suo verdetto: responsabilità politica ben oltre il codice penale. “Che modello di sviluppo è quello che trasforma un manufatto di un piano in una torre?”, si chiede. “Milano è diventata un parco giochi per super ricchi. E i milanesi?” Questo accento giudiziario, in pieno stile populista, è un messaggio per l’assetto nazionale: il M5s non sarà la stampella del centrosinistra, soprattutto dove la speculazione immobiliare pare correre più veloce della politica.

Verso le regionali

Al contempo, il centrodestra veneto vive una frattura interna. La regione è da sempre vetrina del modello Lega-Zaia: il governatore vorrebbe vedere in pista la sua Lista, forte di 16 consiglieri e del 44,57% nel 2020, attrattiva di voti civici e astensionisti. Ma l’idea non piace a tutti dentro il Carroccio. L’assessore veneto Roberto Marcato ha criticato l’ipotes: “Non si può sputare sul piatto dove si mangia”. Rimarcando che senza la forza del partito madre, Zaia non sarebbe diventato il leader carismatico di oggi.

Ieri gli hanno risposto molti leghisti, tra cui il capogruppo Alberto Villanova: “L’eredità di consenso, valori e competenze legati a Luca Zaia sono un patrimonio da preservare”. Nel frattempo, in ambienti di Fratelli d’Italia emerge una posizione alternativa più rassicurante rispetto alla spaccatura leghista. Il senatore Luca De Carlo, coordinatore veneto di FdI, nell’intervista al nostro giornale pronuncia parole nette: “FdI ha la classe dirigente matura per governare il Veneto”.

Dunque, Fratelli d’Italia si propone come forza strutturata, istituzionale e capace di offrire stabilità. Il quadro politico regionale si fa così teso. Zaia rivendica legittimità e autonomia (anche programmatica ed elettorale) tramite la sua lista civica, che avrebbe capacità attrattive trasversali. Ma la Lega tradizionale teme che sia un boomerang. Da Milano al Veneto, la politica appare sospesa tra accuse reciproche e strategie difensive. Conte sceglie la toga del giudice per marcare identità e distanza, FdI tramite De Carlo si candida a governare la regione, col paradosso che l’uomo più forte, Luca Zaia, rischia di diventare fattore di instabilità.


Torna alle notizie in home