Editoriale

COSA INSEGNA L’8 MARZO

di Tommaso Cerno -


Presto una donna al Quirinale. Dice così Giorgia Meloni. E parla della sua antagonista, Elly Schlein, leader del Pd. Non sembra nemmeno di stare in Italia. Solo pochi mesi fa sembrava fantascienza. Oggi è l’8 marzo di un’Italia che ha finalmente una donna Premier, Giorgia Meloni, e una donna leader dell’opposizione, Elly Schlein. Un giorno da festeggiare per chiudere un’epoca di grandi proclami, quote rosa, sofisticherie elettorali che non hanno portato mai a quel cambiamento che hanno scelto gli italiani. Da soli. Il 25 settembre alle elezioni politiche indicando in massa la vittoria del centrodestra a guida femminile, e qualche giorno fa il popolo della sinistra che è andato ai gazebo del Pd per mandare un chiaro messaggio sulla voglia ormai troppo forte di un cambiamento reale. Ecco che questa festa della donna deve servire da monito per la politica. Sono troppe le questioni aperte in Italia da oltre un decennio, che non trovano soluzione ma solo promesse. Il messaggio di quei due popoli diversi della destra e della sinistra che hanno portato due donne al comando dicono forte che l’Italia è stanca di chiacchiere, di tempo perso, di parole vuote che non si trasformano in fatti concreti. Ci sta dicendo l’Italia che è ora di fare le cose che si promettono. E che se la politica non sarà capace di attuare ciò che serve al Paese sarà il Paese, come nel caso delle due donne leader, a prendere in mano la situazione e voltare pagina. Siamo fuori tempo massimo, ma la giornata di oggi deve servire a riflettere. Viviamo in uno scenario di guerra e continuiamo a chiamarla pace. Viviamo in un Paese sempre più povero e continuiamo a divulgare previsioni economiche scritte su pezzi di carta. Viviamo in un Paese insicuro, dove l’aria grigia fra chi è emarginato e chi ha perso il proprio status che credeva certo si sta allargando ogni giorno. Ed è per questo che i fenomeni come le migrazioni, la paura nucleare, la la lotta degli unicorni agli altri per sopravvivere, sono tornati nel quotidiano. Abbiamo l’impressione che chi ci ha portati fino a qui ci abbia raccontato troppe bugie. E quel che è peggio che l’abbia fatto sapendo di mentire. Come se ormai fosse dato per scontato che non poteva venire dal Paese una forte richiesta di cambiamento, come se ormai fosse ovvio che chi stava al comando decideva anche per gli altri. Fare questo e poi invocare la democrazia è un segno di grande ipocrisia e di debolezza della nostra classe dirigente. E’ in questo senso che l’8 marzo da quest’anno vale doppio. E non solo perché sono due le donne simbolo di questa Italia che vuole cambiare da sola, ma perché è l’ultima occasione per guardare in faccia gli italiani e cominciare davvero a dire tutta la verità. Sia quella che ci piace raccontare, sopra la quale avremmo costruito chissà quale futuro di sogni sia quella molto più difficile da digerire ma necessaria per ripristinare un rapporto di fiducia fra chi domina e chi è dominato, cioè fra chi governa e può scegliere per gli altri e chi deve campare nonostante il caos in cui è stata immersa la nostra società.

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