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Così i colossi dell’energia fermarono Ursula. La riunione segreta e le false promesse

di Giovanni Vasso -

URSULA VON DER LEYEN PRESIDENTE COMMISSIONE EUROPEA


Dietro la gestazione difficile e beffarda, del tetto al prezzo del gas c’è stata la voce degli industriali e dei capi delle imprese energetiche del Vecchio Continente. Ursula von der Leyen, finché ha potuto, ha continuato a cincischiare e, per tentare di salvare la capra degli interessi mitteleuropei e industriali e i cavoli (amari) dei mediterranei con Mario Draghi chiedevano un freno alla speculazione, aveva deciso di imporre il price cap a 275 euro. Scontentando tutti. Quelli che non lo volevano proprio, giudicandolo strumento deteriore per i mercati, e quelli che, giudicandolo così inutilizzabile, lo hanno definito “uno scherzo di cattivo gusto”, per dirla con il ministro spagnolo all’energia Teresa Ribera.
A raccontare come sono andati i fatti è stata l’agenzia Adn Kronos che, grazie a una richiesta di accesso agli atti, ha messo le mani sul verbale di una riunione tra Von der Leyen, industriali europei e Ceo delle aziende energetiche. Quando era passato più o meno un mese dall’inizio del conflitto da Mosca e Kiev, s’era ormai capito che la guerra non sarebbe finita presto e che l’Europa avrebbe dovuto fronteggiare la crisi energetica. Alla chiamata di Ursula, datata 23 marzo ’22, avrebbero risposto i massimi dirigenti delle aziende del settore. I nomi non sono disponibili nel documento ma Adn Kronos li rintraccia dalle cariche che, invece, sono riportate nero su bianco. Avrebbero partecipato la anglo-olandese Shell, con Ben Van den Beurden, il Ceo della Total francese Patrick Pouyanné, quello dell’Eni italiana Claudio Descalzi, della tedesca E.on Leonhard Birnbaum, della svedese Vattenfall Anna Borg, un consigliere d’amministrazione di British Petroleum e tre rappresentati di Ert insieme a un altro di Centrica plc, casa madre di British Gas.
Stando a quanto l’agenzia Adn Kronos riferisce citando una mail riepilogativa dell’incontro dell’ex advisor della presidente della Commissione per il Green Deal, il belga Kurt Vanderberghe, petrolieri e Ceo erano divisi su come affrontare la situazione ma la maggioranza di loro (non ne è specificata la composizione) aveva le idee chiare: con il tetto al gas, ci sarebbero stati rischi nella sicurezza degli approvvigionamenti. Come era accaduto al Giappone che s’era visto costretto a lockdown elettrici controllati a causa dei limiti imposti al prezzo del gas che, a cascata, avrebbero portato meno energia e meno investimenti a Tokyo. L’Europa, si legge nel documento, “paga un alto prezzo per l’energia perché siamo molto dipendenti dalle importazioni”. E questo lo abbiamo imparato tutti. Per i petrolieri i problemi erano (e sono…) due: accesso ai volumi e prezzi. “Il prezzo è attualmente grandemente determinato dall’incertezza sul mercato sulle forniture future”. Come superarla? “Questa incertezza può essere gestita o eliminando la minaccia di sanzioni, oppure contenendo la domanda”. Insomma, l’Ue ha dovuto scegliere: o tagliare i rapporti con Mosca o stringere la cinghia. Ha deciso di percorrere la seconda via.
Dal momento che la Commissione non aveva la minima intenzione di cedere sulle sanzioni a Mosca, s’è dovuta immaginare una strategia. Che, effettivamente, in Europa si sta seguendo. Da un lato, hanno spiegato i Ceo a Ursula von der Leyen, occorre tagliare i consumi, dall’altro immaginare di potenziare le produzioni locali puntando forte sulle rinnovabili. Forse, se l’avessero spiegata così avrebbero trovato anche un consenso maggiore nell’opinione pubblica a cui, invece, sono state ammanniti appelli istituzionali e seriosi ma completamente senza senso, e perciò rapidamente e ampiamente ridicolizzati, a fare la doccia il meno possibile e in quanti più possibile. Oltre ai tagli ai consumi e all’incentivazione alle produzioni locali basati sulle rinnovabili, s’era immaginata anche un’altra via. Quella della diversificazione dei fornitori. L’Italia, in tal senso, aveva già iniziato a compiere missioni esplorative in Africa.

Il giorno dopo quella riunione, si celebrò il consiglio d’Europa che vide Mario Draghi battere i pugni sul tavolo per il price cap. L’ex governatore della Bce sapeva che la speculazione si sconfigge dimostrando rigore. Lo aveva già fatto ai tempi del “bazooka”, invitò l’Ue a fare lo stesso. Mostrando i muscoli, la speculazione internazionale si sarebbe ridimensionata. Von der Leyen, allora, era d’altro avviso. Partì, dunque, il tikitaka delle istituzioni Ue. Un palleggio, inarrestabile, frustrante e inconsistente. Una battaglia di non paper, sintetizzata nello scontro tra Mitteleuropa e Latini. Con Ursula a fare la parte della mediatrice. Un ruolo che non le è riuscito benissimo, dal momento che la sintesi trovata – mesi dopo l’estate drammatica del Ttf di Amsterdam – è parsa irricevibile a tutti. Poi l’aggiustamento, il price cap a 180 euro (dai 275 iniziali) e l’inizio della discesa del prezzo del gas fin sotto le soglie pre-guerra. Draghi aveva ragione, la maggioranza dei petrolieri no. In mezzo, c’è finita Ursula. Con il cerino in mano e un’altra occasione perduta, per l’Ue, per diventare finalmente grande.

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