Attualità

Così la Cgil mi ha cacciata: a casa con due figli dopo 35 anni

di Rita Cavallaro -


COSì LA CGIL MI HA CACCIATA: lasciata a casa con due figli dopo 35 anni di lavoro

Si riempiono la bocca con i diritti dei lavoratori e scendono in piazza per il salario minimo, ma nelle segrete stanze della Confederazione se ne infischiano di quei diritti, arrivando perfino a licenziare i dipendenti dalla sera alla mattina. La Cgil di Maurizio Landini sta mostrando, giorno dopo giorno, il vero volto del più grande sindacato italiano, quello che con i suoi 5 milioni di iscritti si definisce il “baluardo contro l’aumento delle diseguaglianze sociali e la precarietà dei contratti”. Peccato che proprio l’era Landini ha aperto una stagione di licenziamenti in tronco, mascherati con la formula “per giustificato motivo oggettivo” e sfruttando perfino il Job Acts. Sta facendo discutere la cacciata di Massimo Gibelli, lo storico portavoce della Cgil messo alla porta dopo quarant’anni nel sindacato. Ma la sua storia è solo la punta dell’iceberg, perché dalle filiali sparse in tutta Italia casi come quello di Gibelli stanno diventando quasi la normalità, insieme a tutta una schiera di denunce per demansionamenti e presunti casi di mobbing. Gente che, comunque, ancora una stipendio a casa lo porta, a differenza di Gibelli&Co, licenziati da un giorno all’altro e sul piede di guerra, convinti ad andare fino alla fine in quella che si prospetta una battaglia in tribunale.

E che molto spesso si rivela un ulteriore dispendio di denaro, perché il sindacato resta irremovibile contro il reintegro e le vertenze vanno avanti per anni, fino alla Cassazione. Come nel caso di Igina Roberti, la cui vicenda non solo ha dell’incredibile, ma è in grado di suscitare lo sdegno dei più, per i tempi e le modalità con cui si è consumata. Igina, infatti, è stata liquidata con due parole, “sei licenziata”, in piena emergenza Covid, il periodo più buio della nostra storia moderna, carico di sofferenze per le persone che finivano intubate, segnato dalla paura di morire, dalle restrizioni, dai lockdown, da un distanziamento sociale che ha pesato sui rapporti umani. Il sindacato che parlava a favore di quelle persone in difficoltà economica, a causa degli esercizi commerciali chiusi o delle aziende fallite, ha fatto ancora peggio quando il 7 maggio 2019 ha convocato Igina nella sede Fillea-Cgil di Taranto per congedarla senza troppi fronzoli. Una donna sola, madre di un figlio di vent’anni, con due familiari disabili si è vista risolvere, dopo 35 anni di servizio, un’assunzione a tempo indeterminato con una semplice comunicazione verbale. “Mi hanno detto che la motivazione del licenziamento era legata alla diminuzione degli iscritti al sindacato, mi hanno chiesto di consegnare immediatamente le chiavi e di non presentarmi il giorno dopo al lavoro”, racconta a L’Identità Igina Roberti, che da allora ha avviato una battaglia legale per la difesa dei suoi diritti. “Per due giorni mi sono recata ugualmente in ufficio, senza poter entrare, perché era stata cambiata la serratura. Solo poi ho ricevuto la lettera di licenziamento. Ho scritto a Landini, non mi ha mai risposto.
Per me è stata una tragedia, perché all’improvviso mi sono trovata senza stipendio, 1.500 euro, e sono finita in strada, non riuscendo a pagare l’affitto. Io e mio figlio ci siano dovuti trasferire a casa di mia madre e mio fratello, che hanno già tanti problemi, e nessuno si è mai preoccupato della mia situazione. Sono l’unica donna licenziata in tronco dalla Cgil”. Alla faccia del “baluardo contro l’aumento delle diseguaglianze sociali”. E alla demagogia della tutela del lavoro si contrappone la presa di posizione della Confederazione, che non solo si è opposta alla reintegrazione di Igina, ma si è rifiutata di raggiungere qualsiasi tipo di accordo. “Se mi avessero pagato almeno i sei anni di contributi che mi mancano per la pensione io avrei chiuso la faccenda, ma non hanno voluto”, ha aggiunto Igina, sottolineando quanto sia stata dura per lei, che nel corso della sua vita ha sempre creduto nei principi portati avanti del sindacato, “vedere l’avvocato dei paladini del lavoro che andava contro una lavoratrice in modo così pesante”.

Tutta colpa del landinismo, secondo la donna, entrata in Fillea a ventun anni e da allora passata attraverso vari segretari. “Una volta credevo in quei valori, l’era più bella è stata quella di Giorgio Cremaschi, una persona in gambissima, ma anche con Epifani non c’erano problemi. Invece questa nuova gestione di Landini è fallimentare, non fa certo gli interessi dei lavoratori”, ha detto Igina. Che non fa mistero neppure di quanto, nella Cgil, la sinistra operi con il consueto sistema delle correnti e dello spoil system. “La cosa che mi ha fatto davvero pena sono i tanti messaggi di solidarietà in privato dei compagni, i quali mi chiedevano però di non far sapere a nessuno che stavano dalla mia parte. Li ho eliminati tutti dalle mie amicizie, perché le battaglie si fanno insieme mettendoci la faccia”.


Torna alle notizie in home