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Economia

Così rischiamo di restare senza medicine

Aumentano i costi di produzione, scendono i prezzi: pericolo scaffali vuoti. E l'Ue resta a guardare

di Giovanni Vasso -


Rischiamo di restare senza medicine. Perché i costi industriali aumentano e i prezzi, soprattutto quelli degli antibiotici, scendono. Rendendone sostanzialmente poco, se non per niente, conveniente la produzione. Non è questione di ora, per carità. Il problema, semmai, sta nell’ennesimo grido d’allarme su una situazione che, ormai dai tempi della pandemia, non sembra aver trovato soluzione. Per mesi, dal Covid in poi, alcuni tipi di medicinali, anche quelli per i bambini, sono letteralmente scomparsi dalle farmacie. Salvo, poi, ricomparire. Sono tante, troppe, le questioni aperte in campo farmaceutico. E le ragioni sono suppergiù sempre le stesse. Dall’allentamento delle supply chain fino all’impennata dei costi industriali di base a cominciare, manco a farlo apposta, proprio dall’energia.

L’ultima ricerca in tal senso è arrivata dall’agenzia indipendenti New Angle, col sostegno di Viatris. Ha preso in esame sedici Paesi europei, dentro e fuori la Ue concentrandosi sugli antibiotici. Si tratta di un campione che ben rappresenta le differenze all’interno del Vecchio Continente e che comprende Austria, Belgio, Croazia, Estonia, Finlandia, Germania, Ungheria, Irlanda, Italia, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Il risultato dell’indagine riferisce che dall’inizio della pandemia, ossia dal 2020, e fino all’anno scorso, s’è registrato un aumento dei costi di produzione per le medicine pari al 31,6% dei prezzi industriali, del 25,7% dei costi del lavoro, a cui si sono aggiunti oltre a rincari energetici, l’aumento del costo dei materiali fondamentali e a un +23,4% di inflazione generale. A fronte di questi aumenti, il prezzo medio dei dieci principali antibiotici off-patent, ossia di quelli che diremmo “generici”, è diminuito del 10,4 per cento. L’amoxicillina, inoltre, ha registrato un calo di prezzo ancora più vistoso e stimato in circa il 19 per cento. Bene, ma non benissimo. Già, perché riducendosi i margini di redditività, contestualmente, vanno sparendo i medicinali da banco. E proprio l’amoxicillina, secondo l’indagine, rappresenta uno dei farmaci più colpiti dalle carenze nel comparto antibiotici. Quale soluzione, dunque, all’impasse? Semplice, bisogna aumentarne i prezzi. “Senza riforme mirate – come adeguamento dei prezzi legati all’inflazione, prezzi minimi (floor price) o modelli di prezzo a più livelli – i pazienti in tutta Europa rischiano di perdere l’accesso a questi trattamenti, e ciò comprometterebbe la salute pubblica e accelererebbe la resistenza antimicrobica”, ha affermato Margarida Bajanca, Lead Researcher di New Angle.

La questione, però, non impatta solo sugli antibiotici. Ma, più in generale, sull’intero comparto dei medicinali generici. Anche in Italia o, forse, soprattutto nel nostro Paese. Il 7 ottobre scorso, Egualia ha presentato uno studio, condotto con Nomisma, in cui ha fatto il punto della situazione dei farmaci equivalenti sul mercato nazionale ed europeo. Secondo i numeri 2023, il comparto in Europa ha superato il valore di 20 miliardi di euro, segnando una crescita annuale pari al 10 per cento. A far la parte del leone, Italia e Germania che, da sole, detengono il 40 per cento di tutto il fatturato europeo. Quello tedesco è, finanziariamente, più forte ma il comparto italiano è più diffuso. Conta 102 imprese, dà lavoro a poco meno di 11mila addetti e il valore della produzione tricolore è pari a 6,4 miliardi di cui 1,6 di valore aggiunto. C’è un ma. Gigantesco, come i rincari industriali. Tra il 2019 e il 2023, le materie prime sono aumentate del 40,6% mentre i costi di produzione hanno subito rincari per il 32%, addirittura del 9,5% solo nel 2023. Va da sé che, rebus sic stantibus, i margini di redditività siano tracollati e il fatto di trovarsi a lavorare in un regime di prezzi sostanzialmente calmierati sta mettendo a dura prova le aziende. Giusto per non farsi mancare nulla, il rapporto annuale Nomisma per Egualia sottolinea che, neppure sul fronte farmaceutico, l’Europa ha una sua autosufficienza. Si comprano dall’estero il 48% dei principi attivi, il 60% di quelli intermedi e addirittura l’85% delle materie prime regolamentate. Basta poco a far saltare il banco. Specialmente oggi, in un momento storico in cui i Paesi più forti stanno letteralmente facendo incetta di principi attivi e materie prime chimiche e farmaceutiche, a cominciare proprio dagli Stati Uniti. Che fare? Innanzitutto occorrerebbe un risveglio dell’Europa, che a Bruxelles si iniziasse a pensare di più alle medicine e un po’ meno alle armi. Poi ci sono alcune raccomandazioni che sono contenute proprio nel report Nomisma-Egualia e che prevedono l’adeguamento dinamico dei prezzi per i farmaci fuori brevetto, l’obbligo di gare multi aggiudicataria per ridurre la concentrazione dei fornitori (problema che riguarda addirittura il 46% dei generici critici). Poi c’è l’ipotesi di gare pubbliche basate su criteri Meat che escludano i ribassi anomali fissando limiti minimi per i prezzi, l’incentivazione ai produttori europei (la Cina ci insedia anche qui, e molto) e, infine, la proposta di superare il sistema del payback che sta dando già numerosi grattacapi anche al comparto biomedicale. Il rischio, dicono gli esperti, è alto. Quello di restare senza medicine. Perché non converrà più produrne.


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