Salute

Covid-19 e isolamento Abbiamo dimenticato i bambini

di Redazione -


Le difficoltà dei più piccini manifestate durante l’isolamento sono la conseguenza della labilità che da tempo investe 

un’istituzione importante come la famiglia, per la quale manca una vera e propria politica ad essa dedicata. 

Ma soprattutto latita una cultura familiare fondata sull’autorevolezza dei genitori, il rispetto dei ruoli, i valori e il tempo

 

Che cosa è accaduto ai bambini durante l’isolamento per il Covid-19? Quali ripercussioni la pandemia ha avuto su i loro stati d’animo, sulle loro emozioni, sui rapporti con i genitori e con i coetanei, sul loro modo di pensare, o di ri-pensare, la vita?  bambini, che come le famiglie in Italia hanno poca considerazione dalla politica e dalle istituzioni, e che spesso sono considerati un fastidio. I bambini e la famiglia che invece in una società civile dovrebbero essere l’espressione più importante, quella che pone le basi per una Comunità futura fondata sui valori veri dell’uomo. Molti medici hanno dichiarato che in questo particolare periodo i bambini e gli adolescenti hanno spesso manifestato significativi disturbi del sonno, un’aggressività non consueta, disagio, silenzio, tristezza. Tutte conseguenze di uno choc che ha interrotto le loro abitudini e li ha portati in una situazione inusuale, nella quale non sempre i genitori sono stati in grado di offrire risposte e soluzioni.

Perché? Perché la famiglia vive un periodo di grande difficoltà sociale e, soprattutto di rapporti tra i suoi componenti. Abbandonata e vituperata la famiglia tradizionale dove ben delineati erano i ruoli della mamma e del papà e dove l’attenzione, la cura, e la formazione dei figli aveva un ruolo preminente su tutto, la famiglia di oggi vive e si esprime con comportamenti dettati più da impulsi che da valori e capacità insiti nei genitori. Manca un atteggiamento di complicità tra i genitori e tra questi e i figli, che scaturisce solo da una ricerca responsabile di far fronte con sentimento e senso delle cose al proprio ruolo. Ruolo che per essere svolto con successo ha bisogno di tempo, un tempo fatto di ascolto, di condivisione, di comprensione, di ludicità, di emozioni condivise, di attese. Un tempo nel quale coltivare un rapporto, farlo fecondare, dargli vigore e forza. Un tempo in cui si possa far recepire il valore dell’esempio, quello che più di tutti è capace di modellare in meglio le vite dei figli. Un tempo così concepito ha bisogno di “tempo”, qualcosa che oggi latita in una società come la nostra protesa più che mai al fare continuo, alla ricerca del successo, del tornaconto, del produrre e consumare. Propensa a favorire l’individualismo esasperato più che un mutualismo aggregante e stimolante, comportamenti e culture che, inevitabilmente coinvolgono anche le famiglie, costrette a barcamenarsi tra queste logiche e i doveri verso i suoi componenti. 

Le conseguenze sono spesso rappresentate da rapporti fuggevoli e superficiali all’interno del nucleo familiare, non di rado alterati da atteggiamenti nevrotici, ansiosi, poco o eccessivamente pregni di preoccupazioni, non sufficientemente attenti all’altro, ai suoi stati d’animo, alle sue emozioni, alle sue vere necessità. Tutto ciò porta a una fragilità evidente, recepita e interiorizzata soprattutto dai figli. Massimo Ammaniti, analista della psicologia dei bambini, nel suo ultimo libro, E poi, i bambini. I nostri figli al tempo del coronavirus, edito da Solferino, a proposito della situazione vissuta dai piccoli in questa particolare contingenza dice: “Si è creato uno strano paradosso: la maggior presenza dei genitori, accresce nei bambini, che fino a qualche mese fa erano abituati a essere più autonomi, andando al nido, o a scuola, il bisogno di mamma e papà, e attiva comportamenti di dipendenza”. 

 

E Walter Veltroni, che il libro lo ha recensito sul Corriere della Sera del 27 giugno scorso, ha aggiunto che la mancanza di indipendenza dei figli, li ha: “confinati nel silenzio delle proprie stanze chiuse, con la dipendenza crescente dei tablet, dei computer e dei video giochi”. Tutto questo è vero, ma è vero anche che non sarebbe accaduto se la famiglia fosse 

 

veramente concepita come il luogo dove modellare con valori e sentimento, i cittadini del domani. Una cultura così intesa non c’è nella modernità, anzi, è ostacolata dai maître à penser dell’intellighenzia culturale dominante, per i quali la famiglia rappresenta un’istituzione arcaica e superata. Una presupposizione che sconfina nell’irresponsabilità, 

 

se poi le conseguenze sono proprio quelle sotto gli occhi di tutti e che una situazione anomala come quella rappresentata dal Covid-19 ha ampiamente messo in luce. Non ci può essere “dipendenza” dai genitori per un bambino o un adolescente, se la mamma e il papà sono stati capaci di creare, nel tempo, con loro, un rapporto fondato sull’autorevolezza, sui valori, sull’attenzione, sul dialogo, sulla fiducia, sulla condivisone, sull’armonia, sull’affetto incondizionato e responsabile, sull’esempio.  Perché sono queste le espressioni del viver in famiglia che contrastano quella insita nel libro di Ammaniti, riferita allo psicanalista Donald Winnicott, di: “Sentirsi soli in presenza degli altri”, quando gli altri sono genitori che vengono percepiti e guardati dai figli con ammirazione, rispetto e sentimento per quanto ricevuto. Per quel propellente di umanità, di eticità, di passione, di forza interiore, di tempo costruttivo, che, come dice Khalil Gibran, “è l’arco che lancia i figli verso il domani”.

Romolo Paradiso


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