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Dal profumo di scuderia alle aule universitarie, Lucrezia Vespaziani è l’osteopata equestre

di Sacha Lunatici -


Cresciuta tra il profumo della campagna e il suono degli zoccoli, Lucrezia Vespaziani ha trasformato un legame viscerale con i cavalli in una carriera che unisce passione, competenza e ricerca costante. Oggi, come docente presso l’ISAO – Istituto Superiore di Osteopatia Animale, porta in aula e sul campo un approccio che intreccia scienza e sensibilità, incarnando l’idea di una professione in cui la tecnica si affianca a un profondo rispetto per l’animale.

Dottoressa Vespaziani, si definisce una “figlia d’arte” cresciuta tra cavalli e natura: quanto ha influito questo imprinting familiare nella scelta della sua carriera professionale?
Crescere in mezzo ai cavalli è stata una grande fortuna. In famiglia l’equitazione è sempre stata una passione, non una professione. È come se mi avessero trasmesso un concentrato di “mondo equestre” nel DNA, che ho sviluppato e approfondito durante la mia formazione, sempre con amore e passione.

Nella sua esperienza da amazzone, racconta di aver iniziato a porsi domande sul corpo del cavallo e sul perché di certi comportamenti o fragilità. Quanto è stato importante questo spirito d’osservazione per il suo approccio osteopatico?
Ho montato cavalli molto diversi, dal più giovane al più fragile. La scintilla è arrivata da un magnifico esemplare di nome Florida, la mia più grande maestra. Osservare e ascoltare sono essenziali: i pazienti non parlano, ma comunicano a modo loro, e sta a noi interpretarli. L’ascolto, in osteopatia, è inseparabile dall’osservazione e fondamentale anche per il cavaliere, che può dare feedback preziosi.

Quando ha incontrato per la prima volta l’osteopatia, l’ha definita una scienza “che ti spettina”. Che cosa l’ha colpita così profondamente da decidere di farne il cuore del suo lavoro?
L’osteopatia è una scienza complementare alla medicina veterinaria: l’aspetto clinico si unisce a una visione che considera il paziente nella sua interezza emotiva e fisica. Trattare un animale è diverso: sono anime pure, prive di razionalità, quindi più vulnerabili e aperte agli stimoli esterni. Bisogna essere “mentalmente liberi” e pronti ad ascoltare la loro storia.

Il suo metodo punta a un equilibrio tra corpo, mente e spirito dell’animale. Quanto è ancora sottovalutata oggi, secondo lei, l’idea del cavallo come vero atleta?
Negli ultimi anni si è fatto un grande passo avanti, anche grazie a professionisti del settore umano. Finché però non vedremo il cavallo come un vero atleta, resteremo un passo indietro: affronta sforzi, allenamenti e gare come noi, e merita attenzioni e cure con la A maiuscola.

Oggi è docente presso ISAO, una realtà che lei descrive come una “famiglia di professionisti”. Che cosa cerca di trasmettere ai suoi studenti, oltre alle competenze tecniche?
Chi intraprende questo percorso deve capire la complessità dell’ascolto osteopatico, partendo dalla conoscenza di sé. La scuola insegna a relazionarsi, a usare le mani con coscienza, a interrogarsi su cause e possibili interventi. Serve una visione ampia che includa anche abitudini e stili di vita dell’animale. Cerco di trasmettere l’amore e la passione che animano questo lavoro, ingredienti indispensabili per una buona pratica.

In che modo la cultura osteopatica può diventare una risorsa per il benessere collettivo, anche oltre l’ambito animale?
Il segreto è creare sinergie tra operatore e paziente, anche fuori da una scuderia o da uno studio. L’obiettivo è l’equilibrio, nel corpo e nella vita: un traguardo ambizioso e prezioso per tutti.


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