Sinodo, la rotta per una Chiesa più comunitaria
Sabato 26 ottobre 2024, a conclusione dei lavori della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, è stato presentato il Documento finale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” e sono stati descritte alcune parti del Documento finale del Sinodo. Il Papa ha ritenuto di non doversi esprimere tramite una esortazione post-sinodale per conferire maggiore importanza al lavoro assembleare in quanto, come noto, anche nella costituzione Episcopalis communio si dice che, se approvato espressamente dal Romano pontefice sia valido. il Documento partecipa del suo Magistero, non con valore normativo, ma dando delle linee di orientamento. Pertanto, nel Documento finale, è stato precisato che si tende a non parlare più di Chiesa universale, intendendola come multinazionale con varie sedi succursali, o come un centro commerciale con diverse propaggini periferiche.
Metodo sinodale e cammino della Chiesa
Quindi “C’è un documento che non è scritto ed è l’esperienza – ha aggiunto il cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria Generale del Sinodo – una esperienza che nell’ultimo anno è stata bellissima. Il primo frutto è il metodo sinodale, che è allo stesso tempo la chiave per poter indirizzare altre tematiche”. Il card. Jean-Claude Hollerich, S.I., relatore generale, ha ricordato che lo scorso anno c’erano nell’assise gruppi di maggioranza e minoranza reciprocamente sospettosi. Con il crescere nel metodo è cambiato questo atteggiamento, “alcune opinioni restano diverse, è inevitabile, ma quest’anno abbiamo veramente vissuto la sinodalità. Nessuno era triste. Ora dobbiamo diventare ambasciatori di questo frutto. Non ci siamo infatti riuniti solo per guardare alle strutture della Chiesa o per fare una battaglia tra fazioni”.
Tradizioni orientali e Chiesa latina
“Radicati e pellegrini” è la prospettiva in cui la Chiesa vuole rispondere e testimoniare in un mondo globalizzato, ha affermato il segretario speciale padre Giacomo Costa, S.I. rispondendo a una domanda su come contemperare le istanze delle Chiese orientali, soprattutto relativamente alle liturgie, e quelle della Chiesa latina, tenendo conto delle migrazioni, spesso forzate, che rischiano di far perdere tradizioni, riti, peculiarità religiose-culturali: “Il radicamento è essenziale – ha detto il segretario speciale gesuita – ma non possiamo viverlo con muri, arroccati nelle proprie posizioni”.
Ministeri, laici e partecipazione
Riguardo al n. 76 del Documento finale si è precisato che “non si tratta di contrapporre ciò che può fare il ministro ordinato e ciò che può fare il laico”. Sono servizi diversi che possono essere vissuti in maniera integrata e dinamica, i laici non devono essere considerati “supplenze”. E questo deve valere certo in aree remote del mondo, ma anche nell’Europa sempre più secolarizzata dove, afferma Hollerich, “si può prevedere di dare spazio a più figure”, posto di intendere la Chiesa in una visione non piramidale ma comunitaria.
Nella liturgia, tema questo che rientra tra quelli ancora da valutare, “non c’è un piano per sostituire sacerdoti con i laici”. Certo, laddove è opportuno e concorre a una maggiore aderenza con il vissuto particolare del territorio, “può esserci una liturgia più partecipativa”. A tal fine il Santo Padre, tramite la sua omelia in merito alla Messa per il Giubileo delle Equipe Sinodali e degli organi di partecipazione, ha invitato i fedeli a riscoprire la regola suprema che guida la Chiesa ossia: l’amore.
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