Cultura & Spettacolo

DON PASQUALE OPERA CULINARIA

di Nicola Santini -


Il nome, va da sé, è ispirato all’opera buffa di Gaetano Donizetti. E c’è un che, forse più di un che, in quella scenografia di interni che accoglie e nutre l’occhio ancor prima di sedersi a tavola, di così ironico e onirico che sembra catapultarti nella scena, rendendoti protagonista e spettatore al contempo. L’esperienza ai tavoli inizia così: con uno stupore che mette di buonumore già dai primi passi in quello che è un salotto in una location solo apparentemente defilata. Nessuna insegna pretenziosa, una discreta porta d’ingresso che lascia accedere contemporaneamente al ristorante come alla reception dell’Hotel Maalot di Roma, di cui il Don Pasquale è il ristorante. L’armonia è sinfonica: tutto è accuratamente studiato ma niente sa di costruito, forzato. Ci si rilassa. Complice il silenzio, la tiepida luce ben pensata, la sobrietà di un personale sempre attento che arriva intuendo qualsiasi pensiero e sparisce non si sa come e dove, quando ha fatto il suo. Sembra più di stare in una di quelle case dove si riceve (e si mangia) bene, che in un locale pubblico. Eppure, clienti o no, del cinque stelle che incornicia la sala da pranzo, tutti possono varcare la soglia del Don Pasquale e godersi quella cucina semplice e colta al contempo, che è opera della ricerca e del pensiero di Domenico Boschi. Giovane, creativo, radicato nella cultura culinaria romana, che vive come una radice ma anche come un germoglio da far crescere ed educare a sbocciare a modo suo, lo chef sa presentare una carta che riflette e asseconda la voglia di tutti noi di mangiare romano quando siamo a Roma, e allo stesso tempo di sperimentare accostamenti di sapore in grado di farti sentire la contemporaneità di una cucina che si proietta anche sulla voglia di andare oltre. E ci va, portando, con gentilezza e grande capacità di orchestrare sapori e sentimenti di palato, proponendo un menu che mette insieme il ricco e il povero, il territorio e le suggestioni esecutive di luoghi più remoti, profumi che solo apparentemente metteremmo in file separati, per arrivare lì, alle papille gustative con sommo gaudio e anche il compiacimento di aver provato qualcosa di nuovo.
Il neonato menù di primavera inizia con un carciofo alla Giudia, menta e pecorino, i ravioli arrosto,un po’ alla maniera dei giapponesi, ma con un ripieno di broccoli siciliani e puttanesca. Il manzo tonné, sempre negli antipasti, si accompagna agli asparagi e agli agrumi ed è delicato ma con carattere. La Carbonara, che non può e non deve mancare mai, arriva sui bombolotti, l’Amatriciana sugli spaghettoni, il ragù d’oca con tartufo e parmigiano sui fusilloni. Sempre tra le creazioni dello chef da dieci e lode sono i Tortelli romaneschi: uno spartito di sapori che vogliono vongole e bottarga di muggine resi eleganti dal limone candito. Le Linguine ajo, ojo sposano lo scorfano e le alghe di mare. La vignarola romana, che si trova solo a Roma e dintorni è il contorno del baccalà, il pollo alla cacciatora sposa le patate al rosmarino. Da lasciare spazio per i dolci:il tacos dello chef merita dieci minuti di applausi.

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