Dossier Ai

E Sam Altman finisce sotto la lente della Sec

di Giovanni Vasso -

epa10988528 (FILE) - Sam Altman, the CEO, of OpenAI speaks during an event at the APEC CEO Summit during the annual Asia-Pacific Economic Cooperation conference at the Moscone West Convention Center in San Francisco, California, USA, 16 November 2023 (issued 21 November 2023). The OpenAI board fired CEO Sam Altman, on 17 November, a day after Altman participated in a guest speakership with Meta, and Google about AI during the APEC CEO Summit during the Asian Pacific Economic Cooperation (APEC) in San Francisco. In a letter published on 'X', formerly known as Twitter, nearly all Open AI employees threaten to quit and follow Altman, who was hired by Microsoft a few days later. EPA/JOHN G. MABANGLO


Altro che la rivolta dei robot, Sam Altman, finito nel mirino della Sec, sarebbe stato allontanato da OpenAi per questioni molto più prosaiche. È notizia di queste ore, infatti, che il papà dell’intelligenza artificiale sarebbe finito sotto indagine da parte della Sec, la Securities and Exchange Commissione, cioè l’autorità di vigilanza della Borsa americana. Il Wall Street Journal, infatti, ha riferito che Sam Altman avrebbe potuto “indurre in errore” alcuni investitori di OpenAi fornendo loro informazioni non proprio cristalline. Per verificare il corretto operato di Altman, la Sec ha chiesto documenti e comunicazioni interne all’azienda madre di ChatGpt già a dicembre scorso, subito dopo l’allontanamento dello stesso Altman da parte di OpenAi. Un allontanamento che ebbe vita brevissima. Dal momento che il Ceo trovò subito posto a Microsoft, che risulta essere tra gli investitori di maggior peso nella fondazione, e minacciò di svuotare la pianta organica di OpenAi. Incassando, tra l’altro, la solidarietà della stragrande maggioranza dei suoi stessi dipendenti. In quei giorni convulsi si parlò di un allontanamento dovuto anche, se non soprattutto, a ragioni etiche. Sam Altman, infatti, avrebbe avuto in animo di potenziare, ancora di più, gli algoritmi dell’Ai e, per farlo, avrebbe investito soldi, tempo ed energie nel progetto Q* che prometteva di creare un’intelligenza artificiale ancora più raffinata, capace di rivaleggiare sul serio con le migliori menti umane.

La realtà, se fossero confermate le indiscrezioni del Wsj, sarebbe invece molto più prosaica. Sam Altman avrebbe semplicemente mentito agli investitori. E per evitare che OpenAi venisse travolta da un eventuale scandalo, si decise di allontanarlo e di ricostruire il board. Che, peraltro, aveva riconosciuto tra i motivi della cacciata il fatto che Altman “non fosse stato sempre pienamente corretto nei confronti degli investitori”. Quelle notizie di stampa, che uscirono negli Stati Uniti su diversi quotidiani, finirono direttamente sulla scrivania dei funzionari della Sec. Che, mentre andava in scena la soap conclusasi con il rientro a casa del Ceo, chiedevano a OpenAi di fornire una serie di documenti. Per Sam Altman è una bella batosta. Proprio adesso, infatti, l’ex enfant prodige nativo di Chicago aveva iniziato una furibonda rincorsa all’altro, grandissimo, affare del secolo. Quello dei chip, funzionali e decisivi al funzionamento proprio dall’Ai. Nelle scorse settimane, Altman ha iniziato un lunghissimo viaggio tra i Paperoni del globo. Alla ricerca di soldoni freschi (si è parlato di trilioni di dollari, per la precisione sette) si è offerto anche alle potenze regionali petrolifere del Medio Oriente per mettere su una start-up che sia capace di produrre ciò che serve agli sviluppatori e che, contestualmente, riesca a ridimensionare l’enorme successo, non soltanto economico ma addirittura strategico, di una società come Nvidia passata, nel brevissimo volgere di qualche anno, da promettente start-up ad autentica miniera d’oro capace di decidere gli equilibri tecnologici del mondo.

Ma le sfide di Sam Altman potrebbero essere appena all’inizio. Per il Ceo di OpenAi, infatti, s’è aperta anche la questione legata all’addestramento degli algoritmi. Già scottati dalle esperienze devastanti coi social e coi motori di ricerca, leggi Meta e Google, gli editori adesso non ne vogliono proprio sapere di offrire gratis i loro contenuti per rendere più potente l’Ai e più precise le sue risposte e, soprattutto, più redditizi gli affari di chi ne è proprietario. Qualche testata, tra le più specialistiche ma anche tra le più famose come il New York Times, hanno già inastato la bandiera della rivolta e stanno capeggiando una feroce battaglia legale. Che, presto, coinvolgerà tutto l’Occidente. È più facile che le regole, tanto invocate, per l’Ai arrivino dai tribunali americani che dalla Commissione Ue che pure s’è gloriata di aver licenziato il primo regolamento al mondo sulla nuova tecnologia. Nel far-west digitale, come insegna l’epopea degli Over the Top, conta chi c’è. E l’Europa, regina della burocrazia, non ha nessun campione digitale capace di tenerle l’arena. Ma questa è un’altra storia. Almeno per ora. In attesa di sapere come andrà a finire l’indagine della Sec e se, nel frattempo, Altman sarà riuscito a raccogliere i fondi per il suo maxi piano che potrebbero renderlo l’uomo più potente, tecnologicamente parlando, del mondo.


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