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“Ecco perché la vera scienza non viviseziona gli animali”

di Ivano Tolettini -


È uno snodo ritenuto ormai dirimente. Anche se fa ancora fatica a passare nella comunità scientifica internazionale che predilige logiche del passato, sebbene i suoi risultati siano spesso incerti. Con molteplici rischi avversi per la salute dell’uomo. “È scientificamente dimostrato che gli esseri umani hanno metabolismi diversi nelle varie fasi della loro esistenza, perciò si può ben comprendere quanto sono differenti i metabolismi animali da quelli umani, con le conseguenze del caso quando somministriamo farmaci sperimentati sugli animali. Il rischio che non funzionino è molto elevato, ma per arrivare a questo abbiamo ugualmente soppresso inutilmente tanti animali”. Lo sostengono la psicologa Francesca Nin e il divulgatore scientifico Davide Nicastri nel loro libro “La vera scienza non usa gli animali” per i tipi di “Edizione Oltre”, dato alle stampe un anno fa, che rappresenta una riflessione approfondita sulla sperimentazione animale e sul fenomeno della vivisezione.
LA SFIDA
Una delle tesi sostenute è che la ricerca scientifica è frenata e ostacolata proprio dall’obbligo della sperimentazione su animali prima di passare agli esseri umani, partendo dal presupposto che gli esiti sono spesso difformi. Non a caso Stefano Cagno, dirigente medico ospedaliero e conosciuto per la sua posizione scientifica contro la sperimentazione animale, afferma che l’errore di base è quello di confrontare sistemi biologici complessi di esseri umani e animali che tra di loro sono diversi. Questa è la sfida. Così non ci dobbiamo stupire se quello “che nel 90% dei casi funziona in laboratorio sugli animali, non funziona negli esseri umani o si dimostra tossico, oppure anche entrambe le cose” sottolinea lo psichiatra Cagno – autore di numerosi libri sulla tematica come “Gli animali e la ricerca”, “Quando l’uomo si crede Dio” “Sperimentazione animale e psiche: un’analisi critica”, etc -, che da trent’anni conduce questa battaglia per la salvaguardia di ogni essere vivente. È un approccio che ha indubbiamente anche un contenuto etico rilevante. Se la ricerca scientifica non c’è dubbio sia un importante fattore di progresso per l’uomo, è altrettanto doveroso sottolineare che una parte rilevante dei farmaci ogni hanno messi in commercio, c’è chi arriva a stimare addirittura il 50%, è poi ritirata per le particolari reazioni avverse, nonostante la sperimentazione in laboratorio sugli animali sia perfettamente riuscita. Del resto i cosiddetti modelli animali spesso sono fuorvianti perché “riproducono i sintomi e le manifestazioni esteriori delle malattie, ma non le loro cause”. Questo spiega, come ha affermato pubblicamente Francesca Nin, perché “hanno favorito e tuttora consentono solo l’avvento di medicinali sintomatici, anziché curatiti”. Con l’affermazione di uno sorta di status quo scientifico in base al quale la sperimentazione animale è ritenuta centrale, indispensabile per eseguire trial clinici certificati. Ma siamo sicuri che non ci siano alternative a questi metodi con risultati uguali se non migliori alla vivisezione degli animali? Con applicazioni meno dannose per la nostra specie? Lo sviluppo tecnologico oggi è in grado di fornire alternative apprezzabili.

METODI SOSTITUTIVI

Nel mondo scientifico si stanno facendo strada a livello internazionale i cosiddetti “nuovi approcci metodologici” (Nam) anche se il sistema imperniato sulla vivisezione è intriso di “ignoranza epistemologica”, come analizza Federica Nin. “La questione di fondo è che chi è abituato a maneggiare topi, scimmie e gli altri animali – ha più volte spiegato – neanche si informa sui Nam e trova più semplice negare l’esistenza”. Secondo questo orientamento le nuove leve di ricercatori prediligono le ricerche con gli animali perché hanno sempre lavorato con essi oppure perché ignorano percorsi alternativi. In questo caso l’ignoranza è anche frutto di fattori culturali oltre che personali di chi fa scienza, perché preferisce nascondersi dietro a percorsi standard, la cosiddetta “conoscenza situata”, sviluppata in una prospettiva specifica e rassicurante. Anche se produce risultati farmacologici e scientifici, una volta applicati sull’uomo, spesso incerti. E questo perché prevale quella corrente di pensiero scientifica che ha insita una mentalità “murinocentrica”, vale a dire con i topi che sono centrali nella ricerca.


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