Editoriale

IL DUELLO DEL COWBOY

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Quel vecchio cowboy che gli americani hanno messo alla Casa Bianca ha una guerra da vincere. E deve farlo prima delle Presidenziali. In gioco c’è il ruolo degli Stati Uniti nel mondo. E non certo la libertà del Donbass. Solo quando avremo finito di raccontarci favole potremo guardarci negli occhi e dirci cosa vogliamo fare. Qualunque cosa sia. L’importante è che la smettiamo di fingere di non renderci conto che la guerra in Ucraina non è il nocciolo della questione globale. E che i confini del conflitto sono già altri. Lo dimostra pure il fatto che Zelensky abbia appena terminato il suo tour planetario con i Grandi della Terra, di mezza Terra verrebbe da dire, mentre fino a poche settimane fa le passerelle occidentali e i grandi proclami sulla difesa della democrazia si svolgevano a Kiev. Non è un caso. E non lo è nemmeno il momento in cui la grande narrazione della resistenza democratica alla Russia cambia registro. Nel silenzio pressoché totale dell’Europa che in questa guerra sta mostrando tutti i suoi limiti politici e la sua assenza di peso sullo scenario globale.
Joe Biden ha scelto, invece, che fare. E sta rischiando tutto. Mentre negli Usa scende in campo Ron Desantis, il presidente più acciaccato della storia statunitense gioca una partita a rischiatutto. Che parte dal default, la mossa a cui nessuno vuole ancora credere, e passa attraverso un irrigidimento degli accordi con gli alleati di sempre. Che le cose stiano cambiando, e in peggio, se ne sono accorti tutti. Il problema è che la strada è stata appena imboccata e che gli effetti si vedranno dopo l’estate. In quella che si annuncia come una crisi profonda, economica, politica e sociale.
Dall’altra parte c’è la Cina. Quella stessa Cina che profetizza pubblicamente da molto tempo di superare gli Stati Uniti d’America in quanto a potenza economica e militare entro una decina d’anni, messaggio arrivato forte e chiaro anche dalla rielezione storica del presidente XI per il terzo mandato. Una Cina che con l’Europa aveva costruito ponti e accordi, in quella che sembrava la terza via dell’Unione, saldamente ancorata all’alleanza atlantica ma al tempo stesso capace di svolgere il suo ruolo di terra di mezzo tra i due estremi est e ovest della nostra carta geopolitica. Peccato che con la guerra in Ucraina, che riguarda certo l’invasore Putin ma anche il Trattato di Minsk usato come carta straccia da tutte le diplomazie occidentali, tutto questo percorso verso Pechino è finito in niente. Ora tutto si può fare e ogni scelta può essere riconsiderata. L’importante è avere almeno il coraggio di dirlo. Cosa che in Europa nessuno sta facendo. I governi di tutti i colori ripetono da quasi un anno e mezzo lo stesso mantra democratico, che alla luce dei fatti che stanno avvenendo, vale come le prime pagine di un quaderno della prima elementare, dove a ogni lettera corrisponde un animale e i bambini imparano a leggere.


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