Editoriale

VOX POPULI

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Quando t’attacchi al simbolo degli altri, sei alla frutta. Perché a una sinistra che fa politica non interessa nulla della Fiamma di Meloni o del leader di Vox, ma solo e sempre della Vox populi. Il mandato elettorale che nelle democrazie discende dal voto.
E questa destra italiana, così come quella spagnola, quella svedese e quella greca si sono prese il potere non per grazia ricevuta, ma perché hanno vinto le elezioni. E le hanno vinte perché la sinistra europea è in crisi di valori, non sa bene cosa pensare, lascia un campo e mezzo libero agli avversari e poi si lamenta se gli altri segnano a porta vuota. L’impressione che ho io, solo osservando da fuori, è che Elly Schlein sia sparita. E che sia in grande imbarazzo per il disastro che è successo nella sua Emilia Romagna. Certo non è colpa del Pd se piove in quel modo, ma è ormai chiaro a tutti che la Regione che pure lei guidava con deleghe specifiche era più brava a spiegare ai filosofi il futuro climatico della galassia di quanto sia stata capace di cantierare i lavori minimi necessari per mettere il territorio almeno un po’ di più in sicurezza. Secondo punto, le amministrative. L’unico che ha vinto, il nuovo sindaco di Vicenza Giacomo Possamai, s’è guardato bene dal salire sul palco con la segretaria nazionale del Pd, partito di cui il suddetto è capogruppo in Regione Veneto. E ha vinto proprio perché si è tenuto a debita distanza da questa canzone stonata che la sinistra suona da un po’, fatta di un duello cervantesco con i mulini a vento del secolo scorso e i fantasmi di un passato che sembrano l’unica chiave di lettura della contemporaneità rimasta a una classe dirigente che ha guidato questo Paese per un decennio solo negli ultimi undici anni.
Il fatto è che la sinistra europea deve fare i conti con un’onda gigante difficile da domare. L’onda di delusione e rabbia di milioni di italiani e di concittadini dei 27 paesi dell’Unione che si sono resi conto che il cronoprogramma del continente culla della democrazia, che aveva promesso loro un futuro di pace e benessere è una grande bufala. E che i prossimi dieci anni saranno i peggiori dal dopoguerra. Non certo in senso assoluto, sappiamo tutti che a ’sto mondo si campa meglio di allora, ma in rapporto alle aspettative e soprattutto al costo personale, famigliare e sociale di una democrazia che attinge dalle tasche dei cittadini molto più di ciò che sarebbe lecito, in cambio di un quadro economico che vede la ricchezza concentrarsi sempre di più nelle mani di sempre meno persone.
Ed ecco il punto. Se vogliamo fare un po’ i marxisti da salotto, viene facile tirare la conclusione: la sinistra ha criticato il capitalismo occidentale per decenni, proponendo la via socialista del merito e del bisogno, quando le storture del mercato erano minime rispetto ad adesso. Ha contribuito in questo modo a migliorare il Paese e il sistema, costruendosi una credibilità che l’ha portata al governo perfino in Italia dove il Pci era il più grande d’Europa e vedeva sbarrata quella via. Peccato che proprio adesso, quando il capitalismo è deteriorato, si è concentrato nelle mani di pochissimi billionari planetari, ha distrutto l’intermediazione, ha creato precarietà e nuovi schiavi, la sinistra ha smesso di criticarlo. E così ci troviamo nell’assurda situazione in cui è la destra che viene riconosciuta come la parte politica sociale mentre la sinistra è classificata come un corpo d’élite. Le cronache raccontano ogni giorno il popolo arrabbiato, sembrano lo sfondo ideale per un consenso largo delle forze progressiste. E invece in questo inizio di secolo ci accorgiamo, come sempre tardi, che quel posto è già occupato.


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