Esteri

Elezioni Turchia: Ecco perché Erdogan adesso rischia di perdere

di Martina Melli -

epa10513423 A handout photo made available by the Turkish President Press Office shows Turkish President Recep Tayyip Erdogan attending a press conference where he signed the decree stating that the presidential elections will be held on 14 May 2023, at the Presidential Palace in Ankara, Turkey, 10 March 2023. EPA/TURKISH PRESIDENT PRESS OFFICE/HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES


Le elezioni presidenziali e parlamentari di domenica in Turchia si preannunciano come un referendum sul lungo mandato del presidente Recep Tayyip Erdogan, il politico che ha dominato il Paese per due decenni. Erdogan si trova ad affrontare la dura concorrenza di un’opposizione che ha fatto appello alla disillusione degli elettori per la sua gestione dell’economia e la sua impostazione autocratica. Un’opposizione congiunta a sostegno di Kemal Kilicdaroglu, un funzionario in pensione che ha promesso di ripristinare la democrazia turca e l’indipendenza degli organi statali come la banca centrale, migliorando nel contempo i legami con l’Occidente.
La sfida di Erdogan è diventata ancora più dura ieri quando Muharrem Ince, uno degli altri tre candidati, si è ritirato, il che significherà più voti per Kilicdaroglu. Ince infatti è un ex membro del Partito popolare repubblicano di Kilicdaroglu, e molti elettori che intendevano votare per lui adesso preferiranno Kilicdaroglu.
Nel tentativo di recuperare consensi, il Presidente negli ultimi mesi ha aumentato il salario minimo, gli stipendi dei dipendenti pubblici e l’assistenza alle famiglie povere. Erdogan, 69 anni, guida la Turchia dal 2003, quando è diventato primo ministro. All’inizio è stato ampiamente acclamato come un democratico che prometteva di fare del paese a maggioranza musulmana e membro della NATO un ponte tra il mondo musulmano e l’Occidente. Ma più di recente, i critici lo hanno accusato di autocrazia e di esacerbare la profonda crisi economica.
E’ considerato alla pari di leader come il presidente ungherese Victor Orban e l’ex presidente Trump, ovvero quei politici che salgono al potere attraverso le elezioni e che poi usano il proprio tempo in carica per erodere le istituzioni democratiche.
Secondo gli analisti politici, il risultato delle elezioni segnerà il futuro della Turchia, e non solo. “Questo voto non determinerà solo il voto del Paese”, ha detto questa settimana Gonul Tol, direttore del Programma Turchia presso il Middle East Institute, un think tank con sede a Washington. Parlando di Erdogan, ha detto: “Se perde il potere attraverso le elezioni, la gente ritroverà la speranza che l’ondata autocratica possa essere invertita”.
In cima alle preoccupazioni degli elettori c’è l’economia turca che vacilla. L’inflazione, che ha superato l’80% l’anno scorso, ha gravemente eroso il potere d’acquisto dei cittadini. Tuttavia i problemi economici sono iniziati dopo il 2013. Il valore della valuta nazionale è crollato, gli investitori stranieri sono fuggiti e in seguito è aumentata anche l’inflazione. Il governo è stato molto criticato per la sua risposta inizialmente lenta ai catastrofici terremoti di febbraio che hanno provocato la morte di oltre 50.000 persone. Il disastro naturale ha sollevato interrogativi sul fatto che il Presidente si assumesse la responsabilità, in parte, di una serie di scadenti progetti di costruzione negli ultimi anni che hanno contribuito all’elevato numero di vittime. L’opinione pubblica si aspetta che le elezioni influenzino anche la posizione geopolitica della Turchia. Le relazioni del paese con gli Stati Uniti e altri alleati della Nato si sono incrinate da quando Erdogan ha rafforzato i legami con la Russia (anche dopo l’invasione dell’Ucraina).
Abile politico e formidabile oratore, Erdogan si è guadagnato la reputazione di emarginare chiunque osi sfidarlo. Dopo un tentativo di colpo di stato nel 2016, il suo governo ha incarcerato decine di migliaia di persone accusate di appartenere al movimento religioso precedentemente alleato, che il governo ha accusato di aver architettato il complotto per estrometterlo. In quell’occasione oltre 100.000 persone furono anche rimosse dai lavori statali. In un quadro simile, non stupisce come oggi la Turchia sia uno dei principali carcerieri di giornalisti al mondo.


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